domenica, Aprile 28

“Cavalleria rusticana”, la rivoluzione del melodramma

Pietro Mascagni nasce a Livorno, in Piazza delle Erbe il 7 dicembre 1863, dedicatosi agli studi musicali – contro la volontà del padre – segue gli insegnamenti di Alfredo Soffredini, fondatore dell’Istituto Musicale Livornese (in seguito dedicato a Mascagni), dove studiò in particolare, armonia e contrappunto.

La vittoria di un outsider

Il giovane livornese poi tenterà a Milano l’avventura al Conservatorio sotto gli insegnamenti di Amilcare Ponchielli, all’epoca famoso compositore e direttore d’orchestra. Mascagni condivise una stanza in affitto con Giacomo Puccini, di cinque anni più grande di lui. La sua specializzazione incontrò però molte difficoltà tanto che nel 1885 abbandonò il Conservatorio senza terminare gli studi.

Lo ritroviamo nel luglio del 1888, all’età di venticinque anni, a Cerignola, un grosso comune pugliese dove si era stabilito. Decide di iscriversi ad un concorso promosso dall’editore Sonzogno, per la composizione di un’opera formata da un singolo atto. Mascagni chiese al suo amico Giovanni Targioni-Tozzetti, poeta e professore di letteratura all’Accademia Navale di Livorno, di scrivere un libretto. Targioni-Tozzetti scelse di ispirarsi alla novella scritta da Giovanni Verga,  Cavalleria rusticana, avvalendosi, a sua volta della collaborazione di Guido Menasci.

L’opera fu presentata l’ultimo giorno di scadenza del bando di concorso e vinse sbaragliando le altre 73 composizioni in concorso.

L’opera

Si tratta essenzialmente di una storia di gelosia, onore e vendetta nel mondo contadino siciliano. L’Atto si svolge in un paesino della Sicilia, nel giorno di Pasqua. L’Opera comincia con la voce di compare Turiddu che intona una serenata alla sua bella Lola, pur sapendo che durante il suo servizio militare, lei ha sposato Alfio. Santuzza, l’attuale fidanzata di Turiddu si rende conto che l’amore tra i due non è mai finito e chiede consiglio a Lucia, la madre di Turiddu.

Questo pericoloso triangolo Turiddu-Lola e Alfio raggiunge il suo acme nella piazza del paese quando Alfio, un rude ma agiato carrettiere, rifiuta un bicchiere di vino offerto da Turiddu. Non c’è bisogno di molto altro per capire che il marito ritiene offeso il suo onore e che l’unico modo per ottenere soddisfazione è un duello. Come vuole l’usanza, i due si abbracciano, e Turiddu stringe tra i denti l’orecchio destro di Alfio: è il segno che la sfida è stata accettata. Turiddu dice addio alla madre tra le lacrime e va incontro al suo destino, rimanendo ucciso nel corso del duello.

La sua morte è annunciata dal grido di una donna “Hanno ammazzato compare Turiddu!” e il sipario cala sul lamento dei contadini siciliani.

Una Sicilia immaginaria

Quando compone Cavalleria Rusticana Mascagni non è stato nemmeno un’ora in Sicilia, tanto che quasi all’ultimo si dovette mettere mano al libretto per conferire ai dialoghi un minimo di sicilianità. L’isola che ospita questa semplice vicenda di onore e vendetta è dipinta seguendo quello che è lo schema narrativo imperante dell’epoca, un luogo esotico, dove sole e passione, gravano su taciturni contadini dalla pelle scura.

Involontariamente il capolavoro di Mascagni contribuirà per molto tempo a cementare il concetto che la mafia non era un’organizzazione criminale ma quella miscela di violenta passionalità e di fierezza «araba» che si supponeva dettasse il comportamento dei siciliani. Per molti la «mafia» era una nozione primitiva dell’onore, un rozzo codice cavalleresco cui obbediva l’arretrata popolazione rurale della Sicilia. E secondo questo “codice genetico” si muovono, amano e muoiono i protagonisti del melodramma di Mascagni.

La prima

Nella foto due degli interpreti della prima rappresentazione, Gemma Bellincioni nel ruolo di Santuzza e il tenore Roberto Stagno in quello di Turiddu.

La prima rappresentazione di Cavalleria Rusticana del semi sconosciuto Mascagni si tiene al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890. Il successo è imprevedibile e straordinario. Gli applausi scroscianti e ininterrotti costrinsero interpreti e musicisti a ben 30 chiamate alla ribalta. Era presente anche la regina d’Italia, che a quanto pare non fece che applaudire. Cavalleria diventò rapidamente un successo internazionale. Pochi mesi dopo la serata romana, Mascagni scrisse a un amico che quest’opera in un solo atto aveva fatto di lui, a ventisette anni, un uomo ricco per tutta la vita.

La scossa del melodramma tradizionale

Mascagni con quest’opera scuote il melodramma italiano di fine Ottocento. Il consolidato schema dell’opera romantica viene investito dal ciclone della Cavalleria di Mascagni. Finalmente i protagonisti non sono più re o nobili o esponenti delle classi dominanti ma il popolo, nella sua espressione più corale. Una classe proletaria dai sentimenti elementari e violenti come amore, vendetta, tradimento. Una ventata di modernità che passa come un piccolo tsunami sullo stagnante melodramma italiano.

L’opera di Mascagni si faceva apprezzare anche per la sicurezza con cui il compositore livornese manovrava le masse corali, ricorrenti in tutto l’atto, a rafforzare il senso di una presenza di un popolo in scena; e soprattutto per gli ampi squarci sinfonici, che volevano dimostrare come un musicista ‘moderno’ non poteva – dopo l’esempio wagneriano – non affidare all’orchestra un ruolo centrale.

I richiami moderni di Cavalleria rusticana

La musica della Cavalleria rimarrà associata per sempre alla Sicilia, anche nella sua versione più stereotipata. Il celeberrimo intermezzo dell’opera fa da sottofondo ai titoli di coda di Toro Scatenato di Martin Scorsese, film che indaga il maschilismo, l’orgoglio e la gelosia degli italo-americani.

La musica di Cavalleria accompagna anche la storia raccontata da Francis Ford Coppola in Il Padrino Parte III. Nella scena clou del film, un killer della mafia insegue la sua vittima attraverso i sontuosi saloni del Teatro Massimo di Palermo mentre sulla scena viene rappresentata l’opera di Mascagni. Se in epoca moderna le musiche di Cavalleria Rusticana sono saccheggiate dai film, curiosamente nel 1939, Mascagni risponde picche ad Amleto Palermi che vorrebbe utilizzare la sua partitura per l’omonimo film che sta girando.

La decisione scatena alcune polemiche a cui l’allora settantaseienne compositore livornese rispose così in un’intervista: “Ci sono già state troppe polemiche. E non c’era niente da polemizzare. Avevano chiesto la mia musica per il film Cavalleria: ho risposto di no. È tutto qui. Il film musicale non dev’essere un’opera filmata. L’opera è fatta solo per il teatro. Bisognerebbe fare della musica per il cinematografo, non copiare il palcoscenico. E allora si avrebbe il film lirico: che manca ancora.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

cantarelopera.com

operamanager.com

Dickie, John. Cosa Nostra: Storia della mafia siciliana

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