sabato, Maggio 18

I Crociati a Costantinopoli

Gli ultimi anni del Tredicesimo secolo vedono le roccaforti cristiane in Terrasanta cadere sotto l’offensiva mussulmana una dopo l’altra. Con la caduta di Acri nella primavera del 1291 soltanto la città di Tiro rimaneva in mani cristiane.

Il Papa lanciò un appello per una nuova crociata in grado di riconquistare i territori perduti in Medio Oriente. La risposta però non fu adeguata alla gravità della situazione, già fortemente compromessa. Pisani e Genovesi si distinsero nella difesa di Tiro e nel tentativo di riconquistare San Giovanni d’Acri, basi storiche della loro presenza economica in oriente, mentre i Veneziani erano soprattutto preoccupati della tutela e del rinnovo dei loro privilegi commerciali.

Inoltre Venezia doveva gestire un non facile rapporto con l’imperatore bizantino sempre più in contrasto con i crociati. Acri viene riconquistata e diviene la capitale del Regno di Gerusalemme, essendo la Città Santa definitivamente persa per i cristiani. Insieme a Tiro, quelle città e quella fascia costiera concentrano un enorme volume di interessi economici e commerciali con protagonisti veneziani, pisani, genovesi, amalfitani.

Gli anni a cavallo del secolo vedono una vera folla di corsari scorrere il Mediterraneo, come i Sardi di Bonifacio nel Tirreno, o gli Almissani e i Ragusei nell’Adriatico meridionale, o i Saraceni dell’Africa settentrionale. In questo contesto, nel 1192, muore il Doge Orio Mastropiero. Il suo successore Enrico Dandolo eredita una situazione molto delicata, aggravata tre anni dopo dall’ennesima crisi dinastica in quel di Costantinopoli. L’imperatore Isacco Angelo viene detronizzato dal fratello, Alessio III.

Il nuovo Doge Dandolo al momento dell’elezione ha ben 85 anni ma mantiene un’energia ed una lucidità invidiabile. Cieco da un’occhio o forse da entrambi in seguito ad un soggiorno a Costantinopoli quando l’imperatore Michele Comneno, secondo alcune narrazioni, l’avrebbe abbacinato come reazione ad una risposta insolente, Dandolo incarnava perfettamente sia lo spirito guerriero che quello mercantile dei veneziani.

Sei anni dopo l’elezione a Doge di Dandolo, sale al soglio pontificio  Lotario dei conti di Segni che assumerà il nome di Innocenzo III. Pochi mesi dopo la sua elezione il Papa emanava un’enciclica (agosto 1998) con la quale chiamava il mondo cattolico alla riconquista del sepolcro di Cristo e della Santa Città di Gerusalemme.

Inizialmente la risposta all’appello di Innocenzo III fu piuttosto tiepida e soltanto il marchese Bonifacio da Monferrato si schierò apertamente in favore della crociata. Poi grazie all’incandescente oratoria di un predicatore francese, Folco, curato di Neuilly-sur-Marne che durante un torneo cavalleresco nel novembre del 1298 che si svolse in un villaggio della Champagne, riuscì a toccare le corde giuste per coinvolgere un vasto consesso di nobili tra i quali il maresciallo Goffredo di Villehardouin, che sarà uno dei cronisti più completi della crociata, le file dei crociati si ingrossarono.

Il mercoledi delle ceneri del 1200 anche il conte Baldovino delle Fiandre aderì alla crociata. Nel febbraio del 1201 una delegazione di sei plenipotenziari si recò a Venezia per trattare la partecipazione della Repubblica del Leone all’impresa. Dopo intense negoziazioni venne stipulato un trattato in base al quale i Veneziani si impegnavano a fornire entro fine giugno 1202 i mezzi navali per trasportare quattromilacinquecento cavalieri e altrettanti cavalli, novemila scudieri e ventimila fanti più i viveri necessari per un anno, dietro un compenso di ottantacinquemila marche imperiali d’argento. Inoltre si impegnavano ad allestire una flotta di 50 galere da guerra con le quali oltre a proteggere il convoglio si proponevano di sostenere attivamente le imprese belliche.

La quarta crociata però partiva con una grande incertezza sulle priorità, attaccare prima l’Egitto o la Siria? Nel tempo che intercorre all’arrivo dei crociati nel giugno del 1202 a Venezia per l’imbarco si erano registrate numerose defezioni sia in termini di uomini che di denaro. Accampati nei lidi veneziani i Crociati si chiedevano dove racimolare il terzo delle marche mancanti per onorare il contratto con i Veneziani e se il contingente ridotto fosse in grado di riconquistare la Terrasanta.

I delusi comandanti crociati iniziarono a valutare le profferte fatte loro, a Verona, da Alessio, il figlio esule del detronizzato imperatore bizantino Isacco Angelo, desideroso di recuperare il trono col loro aiuto. Anche i Veneziani non se la passavano meglio. Avevano immobilizzato ingenti fortune nell’allestimento della flotta e dei rifornimenti per un esercito molto più numeroso di quello accampato alle porte della città lagunare ed ogni giorno che passava, le perdite aumentavano.

A questo punto, il Doge Enrico Dandolo, fece l’unica cosa che avesse un senso, propose una modifica della natura del contratto, non più semplici trasportatori, ma alleati. I Veneziani prendevano la croce e sarebbero stati guidati dallo stesso Dandolo, nonostante l’età vetusta, in cambio avrebbero diviso come tutti gli altri, i profitti e le perdite dell’impresa.

Finalmente la flotta crociata composta da cinquanta a sessanta navi tonde da trasporto, più un centinaio di uscieri, imbarcazioni da carico dotate di porte a pelo d’acqua che permettevano lo sbarco e l’imbarco dei cavalli e circa 60 galere da guerra salpò, costeggiando le coste dalmate. Era il 1 ottobre 1202.

A Zara dove si svolse un conflitto tra i cittadini e la flotta veneziana giunsero nuove stringenti proposte per sostenere il ritorno sul trono di Alessio che in cambio offriva armi e danaro per la conquista della Terrasanta, alla quale avrebbe partecipato con un contingente di truppe, mentre, per far piacere al papa, rinnovava l’impegno alla riunione delle due Chiese, greca e romana.

L’accordo fu alla fine raggiunto con il placet del Papa Innocenzo III tra Bonifacio da Monferrato ed Alessio IV. Il 24 maggio 1203 l’imponente flotta, in una soleggiata mattina primaverile, salpava da Zara in direzione di Costantinopoli. Giunti di fronte alla maestosa capitale bizantina ad accogliere i crociati c’era soltanto un messo di Alessio III (l’usurpatore), un italiano a nome Niccolò Rossi. I crociati respinsero le profferte di quest’ultimo, ma non tardarono a constatare che la città accoglieva molto tiepidamente le pretese del giovane Alessio IV che si mostrava sfilando sulla magnifica galea dogale, ammiraglia della flotta.

Lungi da riscuotere simpatie, il fatto di essere sotto la protezione dell’armata crociata aveva avuto l’effetto di rinsaldare i bizantini, sedando le consuete divisioni interne. Chi aveva sperato, tra i crociati, in una resa pacifica della città dovette ricredersi e le operazioni militari ebbero inizio.

I Veneziani riuscirono a spezzare la massiccia catena di ferro che sbarrava il Corno d’Oro. Ma le mura imponenti che cingevano la metropoli erano considerate imprendibili. Audacemente Bonifacio di Monferrato lanciò un attacco contro il punto più forte delle mura, non lontano dal palazzo imperiale di Blacherne. Era il 17 luglio 1203 e nonostante l’ausilio delle macchine da guerra veneziane, inizialmente l’attacco fu respinto. Uno scontro decisivo fu cercato da Alessio III nella pianura a ovest del palazzo di Blacherne, commettendo un grave errore tattico. Qui infatti i cavalieri crociati potevano manovrare e sfruttare appieno la loro potenza e mobilità.

Quando sopraggiunsero anche i veneziani non c’era stato praticamente scontro, i bizantini si erano ritirati precipitosamente ed Alessio III, l’usurpatore arraffato una parte del tesoro imperiale si era dato alla fuga con la sola figlia Irene ad Adrianopoli. I greci allora liberarono dalla prigione il vecchio imperatore destituito Isacco Angelo nella speranza di calmare la furia crociata. Isacco Angelo confermò le promesse del figlio, subito associato al trono e incoronato solennemente a Santa Sofia; l’unione delle due Chiese venne subito proclamata.

I crociati avrebbero potuto svernare prima di partire per la Terrasanta. Questa scelta consumò un grave errore di giudizio da parte degli imperatori bizantini. I due imperatori avevano sottovalutato le forti tensioni esistenti tra i greci ed i crociati, visti più come degli invasori piuttosto che come liberatori.

Un incendio provocato da alcuni veneziani, fiamminghi e pisani in seguito ad un tentativo di saccheggiare una moschea divampò per una parte della città per alcuni giorni. Alimentato dal caldo di agosto le fiamme bruciarono per diversi giorni con danni immensi per il patrimonio artistico di Costantinopoli e soprattutto per il grande tributo in vite umane.

Questo grave incidente rinfocolò l’odio verso i crociati ed i latini in generale che trovarono rifugio negli accampamenti dei 15.000 uomini che avevano preso Costantinopoli. Di fronte a questa crescente tensione, Alessio IV cercò popolarità nel distaccarsi ancora più dai Crociati, dilazionando il mantenimento degli impegni assunti. Questo non valse a dargli quella credibilità che aveva perso fin dall’inizio mettendosi sotto la protezione della flotta crociata. Un’insurrezione maturata nelle prime settimane del 1204 costò la vita al giovane imperatore, strangolato da uno dei suoi più stretti collaboratori, Alessio Ducas detto il Murzuflo che si auto proclamò imperatore con il nome di Alessio V.

Questi interruppe ogni trattativa con i latini e cercò di rinforzare le mura teodosiane in vista di un possibile attacco crociato. Il primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1204 ma fu respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile venne compiuto un nuovo tentativo e questa volta i veneziani ricorsero ad uno stratagemma.

Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le piattaforme andavano a toccare le mura. Il veneziano Piero Alberti fu il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito ucciso. Fu seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a resistere all’attacco dei difensori permettendo ad altri veneziani e crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città vennero aperte dagli attaccanti penetrati all’interno e per Costantinopoli non ci fu più scampo.

Il giorno dopo ebbe iniziò lo spaventoso saccheggio della città. Mentre Bonifacio di Monserrat occupava il palazzo imperiale che, secondo Roberto di Chiari, aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta cappelle, gli scatenati crociati entravano nelle case ed asportavano qualsiasi cosa di valore che avessero trovato, dopo aver ucciso chiunque si trovasse dentro. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle immagini, dei candelabri e quanto non si poteva asportare veniva semplicemente distrutto.

L’accanimento dei crociati si riversò anche sulla popolazione, donne e suore venivano violentate prima di essere uccise e non si risparmiavano neppure i bambini. La città intera venne depredata ed alla fine quando i comandanti crociati cercarono di riportare l’ordine e di far cessare le violenze una parte di questo immenso bottino (quello che si era riuscito a salvare dall’accaparramento individuale) fu stipato in tre chiese diverse. sotto la guardia « dei Francesi e dei Veneziani tra i più leali che si poterono trovare ». L’accordo di marzo 1204 prevedeva infatti la ripartizione del bottino.

Ai Veneziani toccarono, tra l’altro, i famosi quattro cavalli di bronzo, che, da allora, adornano la facciata della basilica di San Marco, e quattro reliquie che tuttora si conservano nel Tesoro marciano, quella del sangue di Gesù, il chiodo della Croce, il braccio di san Giorgio e un frammento del cranio del Battista.

Il sacco di Costantinopoli scavò una ferita profonda tra i greci e latini che non si sarebbe mai più rimarginata.

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