sabato, Maggio 18

Il fallimento dell’energia nucleare

E’ il 1956 quando una giovanissima Elisabetta II inaugura la prima centrale nucleare commerciale al mondo quella di  Calder Hall, a Sellafield in Inghilterra, che iniziò a lavorare con una potenza iniziale di 50 MW (successivamente divenuti 200 MW). Il primo reattore nucleare operativo negli Stati Uniti fu invece quello di Shippingport, in Pennsylvania (dicembre 1957).

Il mito dell’energia a costo quasi…zero

E’ un momento magico per la produzione elettronuclare di energia, c’è tanta fiducia sulla possibilità di produrre energia a buon mercato, alimentata anche da dichiarazione come quelle di  Lewis Strauss, presidente della United States Atomic Energy Commission, che tre anni prima in un convegno di scrittori scientifici aveva sostenuto: «Non è troppo aspettarsi che i nostri figli usufruiranno nelle loro case di energia elettrica troppo economica per poter essere misurata».

Questa fiducia illimitata sul futuro dell’energia prodotta attraverso la fissione nucleare continuerà per parecchi anni. Nel 1971, l’allora presidente della commissione e premio Nobel Glenn Seaborg, predisse che entro il 2000 i reattori nucleari avrebbero rappresentato la quasi totalità dell’energia prodotta in tutto il mondo.

L’illusione del boom

Sessantacinque anni dopo si può serenamente sostenere che queste aspettative si sono rivelate infondate e che la via nucleare all’energia sia stata un sostanziale fallimento. Verso la fine degli anni Sessanta dello scorso secolo la costruzione di reattori nucleari ebbe una netta accelerata. Nel 1977 la quota di energia prodotta dalla fissione nucleare negli Stati Uniti era il 10% del totale, meno di quindici anni dopo, nel 1991 era raddoppiata, raggiungendo il 20% dell’energia complessivamente prodotta.

In tutto il mondo, a fine 2019, esistevano 449 reattori nucleari in funzione ed altri 53 in costruzione, molti di essi con un fattore di capacità del 90%. Per calcolare il fattore di capacità, si somma l’energia totale prodotta dall’impianto in un periodo di tempo e si divide per l’energia che avrebbe potuto produrre alla piena capacità. Nel 2018, l’energia nucleare ha generato la gran parte dell’elettricità prodotta in Francia (circa il 72%), il 50 di quella in Ungheria, il 38 in Svizzera e il 24 in Corea del Sud, mentre negli Stati Uniti ha inciso per meno del 20 per cento.

Gli incidenti che hanno allarmato il mondo

Una prima battuta d’arresto arriva negli anni Ottanta del ventesimo secolo con il calo della domanda di energia nei principali paesi industrializzati ed i primi incidenti negli impianti nucleari. Tre in particolare hanno incoraggiato la formazione di un vasto movimento antinucleare: quello di Three Mile Island in Pennsylvania avutosi nel 1979, quello di Černobyl’ in Ucraina nel 1986 e quello di Fukushima in Giappone nel 2011. L’Italia fu il primo paese occidentale ad uscire dal nucleare grazie all’esito di tre referendum che si svolsero nel 1987.

Incidente di Fukushima

L’Italia e il nucleare

In realtà da un punto di vista strettamente giuridico i tre referendum non vietavano in modo esplicito la costruzione di nuove centrali, né imponevano la chiusura di quelle esistenti o in fase di realizzazione, ma si limitavano ad abrogare i cosiddetti “oneri compensativi” spettanti agli enti locali sedi dei siti individuati per la costruzione di nuovi impianti nucleari, nonché la norma che concedeva al CIPE la facoltà di scelta dei siti stessi in presenza di un mancato accordo in tal senso con i comuni interessati, e a impedire all’Enel di partecipare alla costruzione di centrali elettronucleari all’estero.

DI fatto furono interpretati dai cittadini e dalle formazioni politiche ed ambientaliste che li sostennero come un NO al nucleare. L’ottanta per cento degli elettori che si recarono alle urne di fatto votò per la fine del nucleare in campo energetico. Tra il 1988 e il 1990 furono chiuse le tre centrali italiane ancora funzionanti (Latina, Trino e Caorso) e stoppata la costruzione di quella di Montalto di Castro.

Tra il 2005 e il 2008 si riapre il dibattito sul futuro del nucleare in Italia e si approntano misure legislative per il varo di un nuovo programma nazionale di energia prodotta con la fissione nucleare. Questo dibattito e questi primi provvedimenti legislativi verranno affossati da un nuovo referendum sul nucleare nel 2011. Prima ancora del suo svolgimento l’incidente di Fukushima pose la pietra tombale sul secondo tentativo italiano, il 94% degli elettori poi sancì la fine anche formale nuovo programma nucleare.

Le centrali nucleari: costose ed insicure

Gli elementi che hanno contribuito al sostanziale fallimento della prospettiva nucleare in campo energetico sono stati (oltre al rischio di incidenti gravissimi per l’ambiente e la salute umana) gli sforamenti sostanziosi dei budget nella costruzione delle centrali e l’incapacità di trovare una soluzione definitiva e sicura per lo smaltimento del combustibile nucleare esausto. Anche i progressi verso una transizione dai costosi ed insicuri modelli di reattore ad acqua pressurizzata verso altre soluzioni si è rivelata insoddisfacente e tutto sommato fallimentare.

La sfiducia verso questo tipo di produzione energetica ha cominciato a diffondersi. La Germania e la Svezia hanno intrapreso il percorso verso la cessazione dell’attività dell’intero settore, e persino la Francia intende ridurne le dimensioni. Nel medio periodo la quota di energia prodotta attraverso la fissione nucleare, almeno nel mondo occidentale sarà destinata a calare. In Asia invece assistiamo ed assisteremo ancora per anni ad un’espansione di questa tecnologia così problematica, grazie soprattutto al traino di Cina ed India.

Nonostante questo, il trend residuale della quota mondiale prodotta dall’energia nucleare sembra segnato. Il valore piú alto raggiunto è il 18 per cento del 1996, ridottosi poi al 10 nel 2018, e si prevede che crescerà solamente fino al 12 nel 2040, stando alle stime dell’International Energy Agency.

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