martedì, Maggio 7

Il gusto dell’uomo medievale

Capita abbastanza frequentemente che durante feste, sagre e persino in certi ristoranti si propongano piatti della cucina medievale, quasi a dimostrare che esiste una sorta di continuità nella tradizione gastronomica di un determinato paese o territorio. In realtà le strutture del gusto della cucina medievale e quelle contemporanee sono molto diverse e difficilmente troveremmo appetitose diverse preparazioni della cucina dell’Età di Mezzo.

Come possiamo affermare ciò, se il sapore, esperienza sensoriale del tutto individuale, è andata perso? Possiamo ricostruire le origini e l’essenza della cucina medievale, dalla struttura del gusto, espressione coniata, da un grande studioso della cucina Jean-Louis Flandrin, definizione che indica il carattere condiviso e “collettivo” di questa esperienza.

Le fonti documentali

Proprio perché la cucina e la consumazione dei pasti è anche un’esperienza collettiva e condivisa, abbiamo a disposizione una vasta pluralità di fonti storiche. In primo luogo i ricettari di cucina, opere certamente mediocri dal punto di vista letterario, ma che aprono squarci insostituibili quando si vogliono affrontare i temi dell’alimentazione e della cucina. Soprattutto dal XIII secolo in avanti i ricettari di cucina si moltiplicano e offrono materiale prezioso per ricostruire tecniche di cottura, conservazione e preparazione degli alimenti.

La cultura gastronomica medievale emerge da molti altri testi: i trattati di medicina e di igiene in primo luogo ma anche i trattati di agricoltura che si soffermano sull’uso alimentare di vegetali e animali. Ancora utili indicazioni pervengono dai manuali di buone maniere, dai testi letterari e poetici e per ultimo ma non meno importanti dalle scoperte effettuate in campo archeologico.

La prima rivoluzione: la scoperta delle Americhe

Due sono gli avvenimenti che segnano una netta cesura tra le strutture del gusto medievale e quello contemporaneo, la prima è la scoperta delle Americhe. Nel giro di poche decine di anni l’Europa si ritrova con un panorama di prodotti agricoli fortemente diversificato rispetto a quello conosciuto prima del 1492. Basti pensare all’impatto del pomodoro nelle cucine delle regioni meridionali e delle patate nella parte continentale europea o del peperoncino che arriva a far parte dell’identità culturale di paesi come l’Ungheria o di regioni italiane come la Calabria.

Per completezza di informazioni è doveroso specificare che questi nuovi prodotti importati dalle Americhe non influenzeranno, se non in misura marginale, i sistemi di cucina ereditati dal Medioevo. Semmai sostituiranno dei prodotti autoctoni in alcune preparazioni fortemente radicate nella cultura gastronomica dei territori. Un esempio in tal senso sono gli gnocchi, piatto molto apprezzato nella cucina medievale e fino ad allora preparato soltanto con acqua e farina, essi assumono un nuovo gusto con l’utilizzo della patata.

Sempre nell’ambito di questo processo che non scalfirà i sistemi di cucina, il pomodoro inizialmente sarà utilizzato quasi esclusivamente per preparare salse, condimento fondamentale della cucina medievale.

La seconda cesura: il sistema dei sapori

La seconda rivoluzione che cambierà in profondità il gusto medievale, “modernizzandolo” si riferisce al sistema dei sapori. Oggi distinguiamo i sapori con estrema precisione (dolce, salato, amaro, agro, piccante). Alla base di questa codifica esiste la convinzione che occorre rispettare e valorizzare ogni singolo alimento, anche attraverso una sequenza più ordinata delle portate. Si tratta di una cesura rispetto al passato che si afferma tra il Seicento e il Settecento, partendo dalla Francia e dall’Italia.

La zuppa di cavolo deve sapere di cavolo, o no?

«La zuppa di cavolo deve sapere di cavolo, il porro di porro, la rapa di rapa», raccomandava Nicolas de Bonnefons nella sua «lettera ai maestri di casa», a metà del secolo XVII. Nel Medioevo e prima ancora in epoca romana, invece si perseguiva un modello di cucina che trasformava gli alimenti originari, attraverso spezie, salse e tecniche di cottura fino a farli diventare un’altra cosa. Il piatto finale doveva contenere tutte le proprietà nutrizionali degli ingredienti utilizzati e soprattutto tutte queste caratteristiche organolettiche si dovevano sentire, attraverso una cucina combinatoria, del tutto diversa dalle moderne convinzioni gastronomiche. Il gusto naturale si trasformava in un gusto “artificiale” e per ottenere questo risultato si utilizzavano spesso salse particolari e cotture combinate.

Pochi grassi e molto agrodolce

L’uomo medievale andava matto per l’agrodolce, mescolando ad esempio lo zucchero con gli agrumi o il miele con l’aceto. Questa cucina dei contrasti tende alla ricerca di un equilibrio in cui le distanze tra i vari sapori degli ingredienti utilizzati si annullano.

Altro carattere di base della gastronomia medievale, che la rende molto distante da noi, è l’estrema parsimonia nell’uso dei grassi. Quella medievale è una cucina fondamentalmente magra, che per elaborare le salse, accompagnamento inevitabile di carni e pesci, utilizza soprattutto ingredienti acidi: vino, aceto, succo di agrumi, agresto (succo di uva acerba), miscelati con spezie e ispessite, tenuti insieme con mollica di pane, fegato, mandorle, noci, tuorlo d’uova.

Le tecniche di cottura

Se gli ingredienti utilizzati per preparare una pietanza sono per così dire “spersonalizzati“, per arrivare ad un gusto unico e artificiale anche le tecniche di cottura si sovrappongono. I diversi modi di cuocere un cibo, lessarlo, brasarlo, stufarlo, friggerlo, arrostirlo spesso sono combinate, in un processo di cottura che li vuole eseguiti, uno dopo l’altro. Questa sovrapposizione di tecniche di cottura a volte corrispondeva ad esigenze di conservazione degli alimenti, in altre occasioni era teso a rendere più tenero un alimento, ma nella maggior parte dei casi questi processi di cottura combinati erano semplicemente legati al gusto dell’uomo medievale.

Incrociando diverse tecniche di cottura infatti si era in grado di estrarre profumi e fragranze diverse, ma anche giocare su diversi livelli di consistenza del cibo. Aspetto non secondario per l’uomo medievale che aveva un rapporto molto più tattile con il cibo di quello che abbiamo noi contemporanei. Gran parte delle pietanze si mangiavano infatti con le mani. Il cucchiaio veniva utilizzato soltanto per zuppe e brodi mentre la forchetta introdotta per prima in Italia, per facilitare il consumo della pasta, fu per molto tempo fortemente osteggiata.

Il servizio a tavola

Un’altra differenza tra noi e il Medioevo è l’abitudine del servizio a tavola. In epoca moderna si afferma l’abitudine di servire in tavola i piatti secondo una sequenza codificata e uguale per tutti. Nel Medioevo, un po’ come avviene ancora oggi in alcuni paesi, come la Cina, il Giappone e in diversi paesi africani, i cibi venivano serviti in tavola simultaneamente, e spettava a ciascun convitato sceglierli e ordinarli secondo il proprio gusto.

Nei pasti della gente umile si tratterà di un servizio unico; in quelli più complessi e prestigiosi delle classi agiate, di una serie di servizi successivi, caldi («di cucina») o freddi («di credenza»), più o meno numerosi a seconda dell’importanza del banchetto. Questo metodo di servire le portate ricorda un po’ il moderno buffet, tipico ad esempio delle colazioni in albergo.

Così vicini, così lontani

In conclusione la cesura del gusto tra noi e l’uomo medievale può dare ad intendere che non ci sia alcuna continuità nella tradizione alimentare di un paese. Anche questa estremizzazione non è corretta. Ancor oggi sono molto attuali diverse invenzioni della cucina medievale, come ad esempio la pasta, ma anche la polenta, il pane e numerose altre preparazione a base di farina.

Certamente la modificazione del gusto ci mostra due “universi gastronomici” profondamente diversi. L’alimentazione iper speziata dell’uomo medievale è un giudizio che diamo con le lenti interpretative del nostro gusto, per lui non era certamente così. Così come mangiare con le mani, per una parte significativa della popolazione mondiale è un’esperienza “esotica” che riserviamo magari per consumare qualche cibo particolare come la pizza, per l’uomo medievale era il modo di mangiare normale.

Infine un’altra differenza che può non sembrare tale, se consideriamo le molteplici varianti di molti piatti della tradizione gastronomica italiana (ma anche degli altri paesi europei), è la codifica delle ricette, anche di quelle più famose. Prendendo in considerazione uno dei piatti più apprezzati e celebri del Medioevo, il biancomangiare, non esiste un solo ingrediente comune a tutte le ricette. Ogni cuoco, da quelli famosi al servizio di re o duchi, fino alla più umile massaia contadina, cucina questo piatto a modo suo, e non soltanto per ragioni economiche, sociali o territoriali ma perché è insito nello spirito del tempo, il rifiuto di convenzioni ferree in fatto di alimentazione.

In un testo italiano del Trecento si scrive: «il discreto cuoco potrà in tutte le cose essere dotto, secondo la diversità dei regni, e potrà i mangiari variare o colorare secondo che a lui parrà»

Per saperne di più:

L’alimentazione nel Medioevo

Il Biancomangiare, piatto cosmopolita del Medioevo

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Montanari, Massimo – Gusti del Medioevo: I prodotti, la cucina, la tavola . Editori Laterza.

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