venerdì, Maggio 17

Invecchiare non basta

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2050 gli ultrasessantenni dovrebbero quasi raddoppiare rispetto al 2015 preso come anno di riferimento, passando dal 12 al 22% della popolazione mondiale. La crescita impetuosa della popolazione anziana anche in molti paesi in via di sviluppo comporterà un notevole stress sui servizi sanitari e socioassistenziali.

L’invecchiamento infatti come è ben noto è correlato strettamente a malattie quali il cancro, la demenza, il diabete di tipo 2 e l’aterosclerosi. L’aumento dell’aspettativa di vita, al momento, non si traduce in un sufficiente incremento dell’aspettativa di salute. La nuova sfida che biologia e medicina hanno di fronte è quella di comprendere, sempre meglio, i meccanismi molecolari dell’invecchiamento che potrebbero aiutarci non soltanto ad avere una vita più lunga ma anche più sana.

Lo sviluppo delle cosiddette “tecnologie amiche” (che ad esempio sono in grado di quantificare, nello stesso momento l’attività di tutti i geni o la concentrazione di tutte le proteine ed i metaboliti di una cellula) insieme alle conoscenze dell’epigenetica stanno aprendo nuove ed interessanti prospettive nel campo della ricerca.

Ricordiamo che l’epigenetica (dal greco ἐπί, epì, «sopra» e γεννητικός, gennitikòs, «relativo all’eredità familiare») è una branca della genetica che si occupa dei cambiamenti fenotipici ereditabili da una cellula o un organismo, in cui non si osserva una variazione del genotipo.

Un esempio concreto riguarda i marcatori fenotipici o i composti metabolici che sono in grado di individuare con esattezza l’età biologica di un organismo. Questi marcatori sono inoltre fattori predittivi del rischio di certe malattie della terza età, nonché del rischio di morte. Sappiamo che durante l’invecchiamento le mutazioni cellulari crescono sensibilmente, quando il corpo le ripara possono restare nel DNA tracce collegate al processo di invecchiamento che costituiscono un altro prezioso marcatore.

I danni nel DNA dipendono anche dall’invecchiamento cellulare e dall’esaurimento delle cellule staminali indispensabili per rigenerare tessuti e produrre nuove cellule. L’ampliamento della conoscenza in questo campo sta portando la ricerca alla realizzazione di terapie mirate. Uno studio clinico, ad esempio, suggerisce che somministrando per un anno l’ormone della crescita si possa riportare indietro di un anno e mezzo “l’orologio biologico”.

Questo come risultati di altri studi clinici indica, fra l’altro, la possibilità di mettere a punto terapie cliniche in grado di contrastare, ad esempio, il declino cognitivo nelle persone anziane. Incoraggiate dallo sviluppo della conoscenza di questi meccanismi molecolari delle cellule e dai primi positivi studi clinici oltre 100 aziende sono impegnate in una fase preclinica per lo sviluppo di farmaci o di tecniche di ingegneria genetica in grado non soltanto di prolungare l’aspettativa di vita ma anche e soprattutto la salute “dell’autunno dell’esistenza”.

Fonte:

Le Scienze, gennaio 2022

alcune voci di Wikipedia

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