giovedì, Maggio 2

Il delitto di Cogne: quando il crimine diventa show

Sono le 7.30 del 30 gennaio 2002, Stefano Lorenzi esce di casa per recarsi al lavoro. Circa 45 minuti dopo, sua moglie Anna Maria Franzoni accompagna Davide, il figlio più grande alla fermata dello scuolabus che si trova a poche decine di metri dalla villetta in cui la famiglia abita, a Cogne, un piccolo comune sparso della Valle d’Aosta, di fronte al massiccio del Gran Paradiso che conta poco meno di 1400 abitanti.

Pochi minuti dopo Anna Maria rientra e scopre il figlio più piccolo Samuele di tre anni in fin di vita, chiama il 118 e poi due vicine di casa Daniela Ferrod e Ada Satragni, che è una psichiatra e che si rende conto della gravità del fatto. Alle 8.52 l’elisoccorso porta il piccolo in ospedale dove però i medici non possono fare altro che constatarne il decesso.

Tutto si gioca in una manciata di minuti che diverrà poi teatro di scontro tra l’Accusa e la Difesa e che schematicamente riepiloghiamo:

8.15: Anna Maria Franzoni accompagna il figlio Davide allo scuolabus; 8.24: la donna rientra e trova Samuele agonizzante; 8.29: nella villetta giungono le due vicine di casa; 8.52: l’elisoccorso trasporta Samuele all’ospedale di Aosta; 9.55: i medici ne dichiarano la morte.

Il giorno dopo iniziano le indagini dei Carabinieri che cercano tracce del delitto nella villetta di Cogne. Gli inquirenti infatti hanno stabilito che il bambino è stato aggredito nella camera da letto dei genitori e che era sveglio quando è stato colpito. Non risultano segni di scasso, ad una prima valutazione sembra non vi siano impronte significative e soprattutto manca l’arma del delitto. I carabinieri del Ris conducono una prima indagine all’interno della casa.

Il 1 febbraio vengono interrogati i genitori. Il 4 febbraio mentre ancora gli investigatori sono alla ricerca dell’arma del delitto, viene eseguita una seconda autopsia sul corpo di Samuele che stabilisce che il piccolo è stato colpito ben 17 volte. Mentre le indagini sono in corso la vicenda si trasforma in un vero show mediatico: giornali, talk show e riviste si lanceranno come un branco di lupi affamati sulla vicenda e la villetta di Cogne somiglierà sempre di più ad un set piuttosto che ad una scena del crimine.

I carabinieri del Ris concentrano la loro indagine sulle 200 macchie di sangue presenti sul pigiama; inoltre aggiungono che l’assassino doveva conoscere bene l’ambiente in cui ha colpito. Nel corso dei frequenti sopralluoghi nella villetta, viene individuata un’impronta di piede (numero 36) che è considerata importante. Il 13 marzo Anna Maria Franzoni viene arrestata per omicidio volontario.

L’accusa si fondava prevalentemente sulla perizia eseguita con l’aiuto del luminol sulle tracce di sangue. Ne vennero rilevate abbondanti sopra il pigiama della Franzoni, trovato parzialmente nascosto tra le coperte del letto solo dopo alcune ore dal fatto delittuoso. L’accusa sostenne che la donna l’avrebbe indossato al momento del delitto, essendo questa l’unica spiegazione possibile per le ampie macchie di sangue e i frammenti di osso e materia cerebrale della vittima repertate sulle maniche della casacca dell’indumento. Ulteriori macchie di sangue della vittima furono rinvenute sulle suole e all’interno delle ciabatte da casa della donna.

Al di fuori della camera da letto, inoltre, non furono rinvenute tracce ematiche riconducibili a un eventuale terzo che, a delitto ultimato e ormai sporco del sangue della piccola vittima, si sarebbe allontanato. Secondo l’accusa, inoltre, la Franzoni era l’unica persona che avrebbe potuto commettere l’omicidio all’ora indicata dai risultati delle indagini. Le persone che all’ora dei fatti si trovavano nella zona non avevano notato nulla di insolito e nessuna persona sospetta.

Il 3 luglio la Procura di Aosta chiede il rinvio a giudizio della Franzoni per omicidio volontario aggravato. Il 19 luglio 2004 Anna Maria Franzoni viene condannata a 30 anni dal Tribunale di Aosta per l’omicidio del figlio. Il suo avvocato di allora, Carlo Taormina, principe del foro, adesso decaduto a leader No-Vax. aveva chiesto il rito abbreviato che per quel tipo di reato prevede appunto la pena massima di 30 anni di reclusione.

È un duro colpo per la Franzoni che in quei due anni ha perorato la sua innocenza anche dagli schermi televisivi. Si ricorda, fra l’altro, una sua lunga intervista al “Maurizio Costanzo Show”. La morbosità con la quale i media si sono gettati su questo tragico evento è senza precedenti, tanto che il Procuratore Generale Vittorio Corsi nella sua requisitoria ha parlato di “morbo di Cogne”.

Probabilmente l’inizio di questa ondata di parossismo mediatico, morboso, volgare e francamente delirante lo da Bruno Vespa nella sua trasmissione “Porta a Porta” il 2 marzo 2002, con l’esibizione del plastico della villetta di Cogne segna un record auditel: 8 milioni 380 mila telespettatori, pari al 36,11%, con punte di oltre 10 milioni in prima serata. Solo le due puntate sull’11 settembre hanno fatto un ascolto simile e meglio è andata solo alla puntata che ha trasmesso la rissa tra Alessandra Mussolini e Katia Belillo.

Ma torniamo ai fatti processuali. Tre anni dopo il processo di primo grado, la Corte d’Assise d’appello, in relazione a attenuanti generiche, ha ridotto la pena a sedici anni di reclusione per Annamaria Franzoni. Poi, il 21 maggio 2008, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d’appello. Alla fine Anna Maria Franzoni, che all’epoca del delitto ha 31 anni, sconterà soltanto 6 anni di carcere  e 5 di detenzione domiciliare estinguendo la pena in anticipo per buona condotta, notizia comunicata successivamente, il 7 febbraio 2019, dopo alcuni mesi dalla sua scarcerazione.

I guai per la donna però non sono finiti. L’ex legale Carlo Taormina l’accusa di non avergli mai pagato la parcella e tra la donna e l’avvocato si aprono una serie di cause legali che terminano il 16 febbraio 2017  quando il giudice Giuseppina Benenati del tribunale civile di Bologna deposita la sentenza con la quale condanna Annamaria Franzoni a risarcire di euro 275.000 all’avvocato Carlo Taormina. La cifra riguarda il compenso professionale mai percepito per averla difesa nel processo sul “delitto di Cogne”. Sommata di Iva, interessi e cassa previdenza avvocati, la somma complessiva dovuta si aggira attorno ai 450.000 euro.

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