venerdì, Maggio 17

FORESTE PLUVIALI, SCRIGNI DI BIODIVERSITA’ E SINERGIA VITALE

Quando si entra in una foresta fluviale, si ha la sensazione di visitare una cattedrale immensa, rivestita di verde, tra colonne altissime di tronchi, avvolti da un’aria calda, umida quasi al 100%. La temperatura è sempre non inferiore ai 15°C, con una media annuale variabile dai 25 ai 30. Frequenti e copiose le piogge, superiori ai 2000 mm all’anno, fino a punte estreme superiori ai 3000. Il clima tropicale interessa la fascia equatoriale, del bacino amazzonico in America meridionale, del Congo in Africa, di Indonesia e Sud Est asiatico.

Pur ridotte ormai solo al 6% della superficie terrestre, esse racchiudono, secondo certe stime, circa l’ottanta per cento delle specie vegetali ed animali note, ma forse anche di più, considerando le varie zone ancora inesplorate.

Le catene alimentari che si stabiliscono nelle foreste pluviali sono piuttosto complesse e diverse, pur seguendo uno schema generale suddiviso in produttori, consumatori primari, secondari e decompositori. Ad esempio, un mango è il produttore, ricco di frutti succosi, mangiati da un topo (consumatore primario), a sua volta cibo per pitone o falco (consumatori secondari), che una volta morti, vengono attaccati da lombrichi, funghi e batteri, (decompositori), col riciclo dei nutrienti nel terreno per le piante.

Particolarmente variegata la strategia riproduttiva del Noce del Brasile, in cui i rapporti tra animali e albero sono così stretti e specifici da compiersi in modo spontaneo soltanto in quell’ambiente di origine.Infatti il nettare e il polline dei calici color crema sono nascosti da un petalo cupoliforme, saldamente chiuso, sollevabile solo dalle forti femmine di api Euglosse, più energiche dei maschi, dotati di bei colori accesi ed iridescenti.

Questi per essere scelti da esse, oltre ai colori, devono anche avere un buon profumo, preso da oli sui petali di varie orchidee, per cui si imbrattano di polline e fecondano altri fiori. I frutti grossi e duri come noci di cocco maturano annualmente e cadono a terra. Qui soltanto termiti instancabili e aguti, roditori con denti molto duri, riescono ad aprirne il guscio legnoso e ad asportarne le buone noci, che seppelliscono altrove, in più nascondigli. Non hanno però una memoria di ferro, per cui a volte dimenticano il posto, per cui lì le noci germogliano, divenendo altri alberi.

Esiste una particolare stratificazione vegetale che comprende il suolo, gli arbusti, i tronchi e rizomi, la parte alta dei grandi alberi, da cui spuntano colossi di 70-80 metri.

Proprio in conseguenza di questi lunghi sviluppi verticali, sia le piante che gli animali hanno dovuto escogitare particolari adattamenti. Le piante epifite, orchidee e felci, pur non essendo parassite, si sviluppano sui tronchi per captare maggior luce solare; le liane si allungano parecchio, avviluppando gli alberi. Gli animali arboricoli, come il gibbone e l’orango, hanno i muscoli degli arti anteriori molto sviluppati,ed unghie ad artiglio per agganciarsi ai rami; altri mammiferi si sono specializzati nel volo planare da un ramo all’altro, anche con una specie di paracadute col ripiegamento esterno della pelle dei fianchi. Alcuni animali, come l’ippopotamo pigmeo e lo scimpanzé nano, posseggono corpi più piccoli per potersi spostare più in fretta tra la fitta vegetazione (nanismo).

Secondo gli studi effettuati in varie università, pare assodato che ci sia una sorta di Internet sotterraneo forestale, la “Wood Wide Web”, formata da innumerevoli apparati radicali e filamenti di miceli di funghi, che collega sia piante di stessa specie, che diverse, scambiando sostanze fondamentali: Carbonio, Azoto e Fosforo. Tra l’altro si è provato che ci può essere trasferimento di Carbonio da un albero più assolato ad un altro in ombra, e quindi dallo sviluppo minore.

In particolare dall’analisi del DNA di alberi e funghi di certe zone di foresta, sono stati individuati nodi principali di rete, gli alberi-madre, collegati a centinaia di altri esemplari, capaci di trasferire nutrienti alle piante più giovani indispensabili alla loro sopravvivenza.Sembra dimostrato con sicurezza che tali alberi siano in grado di riconoscere i propri “figli”, in modo da mandar loro più Carbonio, oppure addirittura offrendo loro spazio con la riduzione del proprio impianto radicale. Forse ciò potrebbe essere spiegato come strategia per la sopravvivenza della specie.

Pur non possedendo un cervello simile al nostro, le piante quindi dispongono di una fittissima rete sotterranea, tipo quella nervosa, in cui si spostano certe sostanze come trasmettitori neuronali.I miceli fungini in cambio di zuccheri prodotti dalle piante mettono a disposizione acqua, sostanze minerali e altre, diffusi come in acquedotti. Inoltre sono trasmessi anche avvisi di attacchi nemici, per attivare le adeguate difese. Tali attività funzionano anche quando si elimina la parte superiore aerea, per almeno altri 5 mesi.

Le foreste pluviali, sia a livello locale che mondiale, oltre che banche sconfinate di biodivetrsità, si possono considerare anche le più grandi farmacie del mondo, poiché contengono principi attivi di ogni tipo e sostanze utili contro varie malattie: stimolanti (cocaina), tranquillanti, chinino (malaria), pervinca rossa (leucemie infantili), ecc. Se si unissero le conoscenze empiriche tradizionali dei popoli indigeni con quelli dell’erboristeria occidentale, forse, insieme ad un’alimentazione e stili di vita adeguati, in ambienti più sani di quelli attuali, sarebbe possibile curare tutte o quasi tutte le patologie, persino le forme più aggressive di certi tumori.

Invece questi patrimoni di inestimabile valore biologico ed umano si vanno riducendo in modo allarmante, per incendi, deforestazione, coltivazioni ben poco redditizie, allevamenti, estrazioni minerarie, costruzioni di strade. Secondo la FAO se ne perdono 7,3 mln di ettari all’anno, con una media giornaliera di circa 20000 al giorno.

In particolare l’industria del legno, per la carta, costruzioni, manufatti tende a decimare in modo indiscriminato le popolazioni vegetali,scardinando il loro ricambio naturale. In media ogni giorno si perdono 137 specie vegetali, e con loro la possibilità di usare i loro principi attivi specifici. Venendo a ridursi i loro habitat, tendono a diminuire anche i popoli indigeni, che a contatto con gli occidentali assumono anche i loro virus e batteri, senza possedere i corrispettivi anticorpi, per cui diventano fragili prede di varie malattie infettive, in particolare del Covid19.

Sarebbe necessaria quindi una politica lungimirante di protezione e sfruttamento programmato e misurato delle risorse vegetali, e difesa delle comunità locali, invece di logiche egoiste di guadagni immediati.

Crediti fotografici: Congo (africarivista.it) / Indonesia (radarmagazine.net) / Noce del Brasile (ledolcicreazioni.com)

La foresta amazzonica

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