venerdì, Maggio 17

La battaglia di Dienbienphu – prima parte

Nella guerra d’Indocina i francesi compirono numerosi errori di valutazione che indirizzarono l’esito della guerra, forse il più grave di tutto fu quello che sfocerà nella battaglia di Dienbienphu.

Siamo nel novembre del 1953 ed il Comitato di Difesa degli interessi nazionali della Francia concluse che l’obiettivo strategico era «costringere il nemico a riconoscere l’impossibilità di ottenere un risultato militare decisivo». I politici trasmisero l’ordine al comandante in capo delle forze francesi in Vietnam, il generale Henri Navarre di non tentare niente di ambizioso senza previa autorizzazione.

Il 2 novembre, tuttavia, il generale aveva stabilito di rioccupare in forze un vecchio campo a Dienbienphu, duecentottanta chilometri a ovest di Hanoi e non lontano dal confine con il Laos.

Questa decisione fu presa senza preoccuparsi di capire esattamente dove fossero le forze nemiche comandate da Giap e che intenzioni avessero. L’idea era quella di creare una forte base aerea e terrestre ad ovest da cui contrastare i movimenti nemici. Navarre che all’epoca aveva 55 anni era uomo di austera bellezza, glaciale, con una vena di presunzione che si rivelerà fatale.

In ottemperanza alle disposizioni di Parigi Navarre preparò l’offensiva verso Dienbienphu impiegando una sola divisione. I primi due battaglioni di paracadutisti francesi e vietnamiti si lanciarono alle 10 e 35 di venerdì 20 novembre. I paracadutisti atterrarono sotto il fuoco nemico, Ho Chi Mhin e Giap avevano infatti deciso di contendere quell’area ai francesi.

Il contingente francese guidato dal quarantaquattrenne Pierre Langlais, che rimarrà ferito durante il lancio, al prezzo di 15 morti e 34 feriti, riuscì a respingere i Vietminh, formando un perimetro difensivo della zona. Il giorno dopo diversi C-119 Flying Boxcar lanciarono nell’area di Diebienphu controllata dall’avanguardia francese delle macchine movimento terra con lo scopo di spianare il terreno e allestire delle piste di atterraggio.

Questo permise l’afflusso di rinforzi che ingrandirono il presidio fino ad un massimo di 12.000 uomini. L’operazione Castore così come era stata codificata la presa di Dienbienphu si profilava come un successo. Il comandante designato del campo era il colonnello Christian de Castries, un aristocratico militare di cinquantun anni che vantava una lunga tradizione familiare nell’ambito dell’esercito. Il suo carattere fatalista svolse un ruolo non marginale nella sconfitta francese.

Ma com’era da un punto di vista morfologico Diennbienphu? Si trattava di una serie di collinette al centro di una pianura sovrastata da montagne boscose collegate con una serie di trincee piuttosto sconclusionate. L’intera area rimase incredibilmente poco fortificata.

Giap e Ho Chi Minh decisero di affrontare i francesi confortati dalle forniture cinesi di obici da 105 millimetri M2A1 di fabbricazione americana e di mortai da 120 mm e cannoni flak da 37. Giap aveva di fronte una scommessa da far tremare i polsi, trascinare queste armi, ciascuna delle quali pesava oltre due tonnellate, per ottocento chilometri su uno dei terreni più impervi dell’Asia, e garantire per mesi le forniture per una forza d’assedio composta da quattro divisioni.

Per compiere questa impresa proibitiva Giap coinvolse i contadini con un mix di promesse sulla riforma agraria e di minacce e spostò il suo quartier generale in avanti di oltre 500 km. a soli 15 km da Dienbienphu, in un groviglio di grotte a prova di bombe.

La logistica per preparare l’attacco alla piazzaforte francese fu epica e curata meticolosamente in ogni suo aspetto. Dai rifornimenti di riso e di cibo alle munizioni, niente fu lasciato al caso. La mimetizzazione di uomini, cannoni, ponti di barche, cucine da campo fu ossessiva e costrinse molto spesso i vietminh a cibarsi di riso quasi crudo, per evitare che il fumo delle cucine tradisse la loro posizione.

Sessantamila portatori molti dotati di biciclette rinforzate in grado di sostenere fino a 90 km di carico assicurarono i rifornimenti e gli spostamenti dell’artiglieria. Tra il lancio dei paracadutisti francesi il 20 novembre 1953 ed il primo attacco di Giap passarono 100 giorni, In questo lasso di tempo ogni tentativo francese di muoversi da Dienbienphu verso la zona controllata dai vietminh fu respinto duramente.

A Navarre furono dati ordini espliciti di limitarsi a tenere il perimetro della base di Dienbienphu senza tentare ulteriori sortite. Nell’ultimo scorcio di quel 1953 i francesi si resero conto che intorno a loro i vietminh iniziavano a montare gli obici che avrebbero preparato l’assalto delle truppe di Giap. In Navarre montava la convinzione che la piazzaforte sarebbe stata indifendibile in caso di attacco massiccio dei vietnamiti. Nelle prime settimane del 1954 i francesi lanciarono numerose sortite contro le artiglierie nemiche. Tutte fallirono.

Per un malcelato senso di orgoglio nazionale, probabilmente frutto delle umiliazioni che la Francia aveva dovuto ingoiare nella Seconda Guerra Monadiale, si evitò l’unica cosa ragionevole da fare: evacuare il contingente francese da Dienbienphu. Giap trascinò la decisione di attaccare fino al periodo delle piogge. La scalcinata aviazione francese non riuscì a contrastare le operazioni di rifornimento dei vietminh e subì pesanti perdite più per errori umani e guasti tecnici che per il fuoco di contraerea nemica.

Durante l’assedio a Dienbienphu intanto in Europa si apriva la strada ad un difficile negoziato per la soluzione della guerra in Indocina. Nel gennaio 1954 un vertice dei Ministri degli Esteri delle superpotenze, teso e difficile, decise di convocare per il 26 aprile una Conferenza Internazionale aperta anche alla Cina comunista per gettare le basi di una soluzione diplomatica al conflitto.

A questo punto sia i francesi che i Vietminh avevano poco tempo per assicurarsi le migliori posizioni possibili prima dell’inizio della conferenza. I primi soprattutto peccando di orgoglio, sconsideratamente rinunciarono a qualunque possibilità per un cessate il fuoco e crearono l’ultimo tassello per il disastro.

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