venerdì, Maggio 17

L’anno senza estate

1815. L’Europa è prostrata da quindici anni di guerre napoleoniche. Mentre Bonaparte è costretto in esilio sull’isola d’Elba, presso il castello di Schönbrunn, a Vienna si sta svolgendo il Congresso di Vienna, la conferenza ha lo scopo di ripristinare l’antico regime e stabilire le condizioni di equilibrio tra le grandi potenze europee, in modo da non consentire più che una singola Nazione assuma un ruolo egemonico nel Vecchio Continente.

Il 26 febbraio 1815, Napoleone fugge dall’isola d’Elba e nel volgere di poche settimane riassume il potere. La coalizione anti bonapartista reagisce attraverso la mobilitazione degli eserciti di Prussia, Russia e Austria, mentre l’Inghilterra stanzia cinque milioni di sterline per finanziare la resa dei conti finale con il generale corso. Mentre la Storia con la S maiuscola investe l’Europa, a più di 12.000 chilometri di distanza, sull’isola indonesiana di Sumbawa, il monte vulcanico Tambora, da lungo tempo quiescente, esplose in modo spettacolare, uccidendo centomila persone dapprima con l’eruzione e poi con gli tsunami che seguirono.

Tutto era iniziato il 5 aprile 1815 con il primo fenomeno eruttivo con boati che vennero uditi fino a Makassar nelle Sulawesi (oggi Celebes), alla distanza di 380 km, a Batavia (oggi Giacarta) in Giava a 1260 km, a Ternate sulle Isole Molucche a 1400 km dal Tambora. Il 10 aprile avvenne la fase parossistica della più potente eruzione vulcanica mai registrata in epoca storica. Questa è la descrizione del rajah di Sanngar, sopravvissuto per miracolo.

Il 10 aprile 1815, alle 7:00 circa della sera, tre distinte colonne di fuoco eruppero dal cratere del Tambora, si unirono a grande altezza caoticamente mentre il vulcano diveniva una massa di “fuoco liquido”. Alle 8:00 circa incominciava a piovere pomice di dimensioni fino a 20 cm per poi, alle 9:00 circa, essere la volta della cenere vulcanica. Alle 10:00 un violento turbine, probabilmente una descrizione non scientifica di flussi piroclastici oppure tempeste d’aria a causa di aria fredda che colmava violentemente il vuoto di aria calda meno densa sollevatasi per l’aumento di temperature, distruggeva Sanngar, a circa 30 km dal vulcano. Era la fine anche degli altri due regni di Tambora e Pekat, spariti dalla storia. Le onde alte fino a 4 m circa (12 piedi) dovrebbero essere state generate da esplosioni freato-magmatiche dovute al contatto tra l’acqua del mare e i flussi piroclastici al raggiungimento delle acque. Dalla mezzanotte fino alla sera dell’11 aprile tremende esplosioni vennero udite con chiarezza fino a Sumatra, a Bengkulu, alla distanza di 1800 km, a Muko-Muko a 2000 km, forse persino a Trumon, a 2600 km di distanza dal vulcano. Inoltre ad ampia scala la superficie si scuoteva terribilmente a causa di onde d’urto prodotte dalle potenti esplosioni o di onde di cedimento per il collasso della cima del Tambora e la formazione della caldera. La cenere oscurò il cielo fino a Giava Orientale e Sulawesi Meridionale, mentre un odore nitroso era percepibile a Batavia.”

Per avere un’idea della violenza catastrofica dell’eruzione del Tambora essa equivalse a 60.000 bombe atomiche come quelle sganciate dagli americani a Hiroshima. Nel 1815 le comunicazioni sono lentissime, neppure il telegrafo è stato ancora inventato e prima che appaiono le prime notizie su questo evento catastrofico passeranno ben sette mesi. Questo è il tempo perché appaia sul Times di Londra un breve articolo basato sulla lettera di un commerciante che racconta delle devastazioni terribili causate da questa eruzione. Siamo in pieno autunno del 1815 e i primi effetti globali di questa devastante eruzione iniziano a sentirsi.

Nell’atmosfera l’eruzione ha immesso 240 chilometri cubi di ceneri, polveri e sabbie nere che hanno oscurato il Sole, provocando un raffreddamento del pianeta. Le inusuali aberrazioni climatiche del 1816 ebbero l’effetto peggiore nell’America del nordest, nelle province canadesi del Maritimes e di Terranova e nel nord dell’Europa. Nel maggio 1816, invece, il ghiaccio distrusse la maggior parte dei raccolti; a giugno, nel Canada orientale e nel New England si abbatterono due grandi tempeste di neve che provocarono numerose vittime; inoltre, all’inizio di giugno quasi trenta centimetri di neve ricoprirono Québec, e a luglio ed agosto i laghi e i fiumi ghiacciarono in Pennsylvania e altre tre gelate colpirono il New England distruggendo tutti gli ortaggi, tranne quelli poco sensibili al freddo.

Le escursioni termiche divennero frequenti e molto forti. Per mancanza di foraggio molto bestiame morì o fu macellato prematuramente. La carestia colpì gran parte dell’Europa del Nord. In Gran Bretagna e in Francia vi furono rivolte per il cibo e i magazzini di grano vennero saccheggiati. La violenza fu peggiore in uno Stato senza sbocchi sul mare come la Svizzera, il cui governo fu costretto a dichiarare un’emergenza nazionale. Il Tamigi e i canali olandesi ghiacciarono tanto da potervi pattinare sopra. Il freddo era così intenso e le precipitazioni nevose così copiose e “fuori stagione” (come le incessanti nevicate del luglio 1816) che quell’anno fu ribattezzato come “l’anno senza estate”. Gli alti livelli di cenere nell’atmosfera resero spettacolari i tramonti di quell’anno, tramonti celebrati nei dipinti di Turner.

un tramonto di Turner

A questo anno terribile, oltre che la pittura anche la letteratura deve qualcosa. Le vacanze svizzere di  Mary Shelley, suo marito Percy Shelley, John Polidori e i loro amici furono rovinate dal maltempo, che li costrinse a stare rinserrati tra la casa che avevano affittato chiamata Maison Chapuis, e la vicina villa Diodati dove risiedeva l’amico Lord Byron, nei pressi del villaggio di Cologny. “Fu un’estate piovosa e poco clemente“, ricorda Mary nel 1831, “la pioggia incessante ci costrinse spesso in casa per giornate intere“.

Questa clausura forzata permise la nascita del primo romanzo gotico di fantascienza Frankenstein or The Modern Prometheus della Shelley, mentre Polidori, scrisse  Il vampiro, un racconto breve inizialmente erroneamente attribuito a Lord Byron che stabilirà gli stereotipi del moderno succhiatore di sangue.

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