martedì, Maggio 14

Le macchine per il moto perpetuo

Da secoli è il sogno impossibile di visionari, fisici, inventori ovvero realizzare una macchina del moto perpetuo che potesse funzionare e produrre lavoro utile indefinitamente, o, per dirla più semplicemente, in grado di produrre più energia di quella che consuma, anche solo per continuare a girare. Una macchina del genere violerebbe uno dei due primi principi della termodinamica.

Il grande fisico tedesco Max Planck (1858-1947) a tale proposito è stato categorico: «È impossibile ottenere il moto perpetuo per via meccanica, termica, chimica, o qualsiasi altro metodo, ossia è impossibile costruire un motore che lavori continuamente e produca dal nulla lavoro o energia cinetica» (Trattato sulla termodinamica, 1945).

Tentativi secolari

Eppure per secoli c’è stato chi ha provato a progettare una siffatta macchina. Leonardo da Vinci disegnò diversi progetti di macchine che riteneva potessero produrre energia gratuita, tra cui sistemi per produrre moto a partire da flussi di aria o acqua; non si trattava però di moti perpetui, anzi egli compì studi volti a dimostrarne l’impossibilità.

Anche tra il Cinquecento e il Settecento furono descritte macchine del moto perpetuo ma tutte violavano i principi della termodinamica. Alcuni prototipi realizzati sembravano funzionare, ma in ultima analisi l’energia sviluppata derivava da qualche fenomeno naturale. Un esempio è l’orologio sviluppato nel 1760 da James Cox, tuttora esistente ma non più in funzione. Il meccanismo era alimentato da un barometro a mercurio, in cui la variazione del livello del metallo liquido dovuto alla variazione della pressione atmosferica era catturata ed utilizzata per caricare una molla.

La lunga genesi della termodinamica

Tutti questi fallimenti, sia pubblici che privati, troveranno una spiegazione definitiva nell’enunciazione delle leggi sulla termodinamica, il cui corpus collettivo fu progressivamente delineato a partire dal 1824 da Sadi Carnot, per passare alle intuizioni di Lord Kelvin (1848) e James Prescott Joule (1850), fino a giungere nel 1876, a Willard Gibbs che pubblicò il trattato “On the Equilibrium of Heterogeneous Substances” (Sull’equilibrio delle sostanze eterogenee) in cui mostrò come una trasformazione termodinamica potesse essere rappresentata graficamente e come studiando in questo modo l’energia, l’entropia, il volume, la temperatura e la pressione si potesse prevedere l’eventuale spontaneità del processo considerato. La termodinamica rappresenta dal punto di vista epistemologico il caso dove un’invenzione pratica, la macchina a vapore, anticipa la teoria stessa e quindi i principi che governano quell’invenzione.

Una questione di cubetti di ghiaccio

Ma torniamo alla macchina per il moto perpetuo. Innanzi tutto è bene chiarire che quando si sostiene che un determinato fenomeno fisico è impossibile dovremmo più correttamente affermare che è statisticamente altamente improbabile.

Se togliamo dal freezer un cubetto di ghiaccio, per il fenomeno del trasferimento di calore, esso in un lasso di tempo variabile si scioglierà in una pozza di acqua più calda. Nessuno ha mai visto la stessa pozza d’acqua trasformarsi in un cubetto di ghiaccio, compiendo il percorso inverso.

Eppure sappiamo che la natura statistica del secondo principio della termodinamica non impedisce a un cubetto di ghiaccio di ricostituirsi spontaneamente. Questa combinazione è però così improbabile che per “uscire” nella lotteria delle probabilità ci vorrebbe un tempo molto più lungo dell’età dell’universo (13,8 miliardi di anni), il che ci permette ragionevolmente di spendere l’aggettivo impossibile.

Le macchine per il moto perpetuo

Le macchine per il moto perpetuo si possono suddividere in due categorie. Le prime tentano di produrre lavoro senza apporto di energia, cioè tentano di violare il primo principio della termodinamica. Questo principio recita che quando un corpo viene posto a contatto con un altro corpo relativamente più freddo avviene una trasformazione che porta a uno stato di equilibrio nel quale sono uguali le temperature dei due corpi. Se appoggiamo un cucchiaino rovente su un piattino freddo, il calore che passa dal primo oggetto al secondo porterà dopo un certo lasso di tempo, a un equilibrio termico. In altre parole il primo principio è dunque un principio di conservazione dell’energia.

In ogni macchina termica una certa quantità di energia viene trasformata in lavoro: non può esistere nessuna macchina che produca lavoro senza consumare energia. Una simile macchina, se esistesse, produrrebbe infatti il cosiddetto moto perpetuo di prima specie.

Una macchina del moto perpetuo del secondo tipo, invece, senza violare il primo principio della termodinamica, converte energia termica in lavoro meccanico senza diminuire l’entropia, e così facendo viola il secondo principio della termodinamica. Per essere più chiari il calore prodotto da questa macchina è convertito in lavoro senza che l’entropia aumenti in qualche altro posto.

Non facciamoci ingannare da dispositivi che prendeno energia da qualche fonte esterna, oscura e difficile da individuare, come la pressione o l’umidità dell’aria o dalle correnti oceaniche. Questi dispositivi però non sono macchine per il moto perpetuo, non violando le leggi della termodinamica, occorre soltanto l’origine dell’energia che le mantiene in moto.

Altre macchine con ruote che girano o pendoli, a prima vista sembrano delle macchine in grado di andare avanti all’infinito senza consumare energia. In realtà si tratta soltanto di macchine molto efficienti a non disperdere l’energia inziale che le ha messe in moto. Si tratta soltanto quindi di aspettare un certo lasso di tempo, poiché nessuna macchina è efficiente al 100%, ci sarà sempre una dispersione a causa dell’attrito con l’aria o tra le parti in moto, per quanto ottimamente lubrificate. E la macchina in questione prima o poi si arresterà. Di seguito alcuni esempio di macchine per il moto perpetuo.

La ruota a ballotte

ruota a ballotte

Questa idea di macchina del moto perpetuo risale all’India dell’VIII secolo. Si sono susseguiti molti progetti più o meno elaborati, tutti basati sullo stesso principio, e tutti fallimentari per lo stesso motivo. Nella versione mostrata qui, le palline sul lato destro (tra «le tre» e «le sei») rotolano verso l’esterno e, trovandosi più lontano dal centro daranno origine a un maggiore momento torcente di quelle vicine al centro. Questo suggerisce che il loro effetto sarà maggiore di quelle sul lato sinistro, facendo girare la ruota in senso orario, una volta che la rotazione è iniziata. In realtà, ci sono sempre più palline sulla sinistra a contrastare la rotazione che palline sulla destra a far girare la ruota, la quale quindi rallenterà fino a fermarsi.

La ruota magnetica

Qui, l’idea è che il magnete centrale è isolato da quelli esterni, posizionati in cerchio, eccetto per due finestre sul polo positivo e negativo. In corrispondenza della finestra superiore, il polo negativo è attratto dal polo positivo dei magneti esterni, mentre, nella finestra inferiore, il polo positivo è respinto dai magneti esterni. Entrambi tendono a far girare il magnete al centro… per sempre. L’errore qui è nel funzionamento dei campi magnetici. Di fatto all’interno del cerchio non c’è affatto campo magnetico: viene cancellato per simmetria e nessuna forza agisce sul magnete interno.

Fonti:

Al-Khalili, Jim. La fisica del diavolo

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