sabato, Maggio 18

Storia di una pandemia: Il CDC, crollo di un mito Ep. 3

Centers for Disease Control and Prevention ( Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, in acronimo CDC) è un’agenzia federale degli Stati Uniti, facente parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani con sede principale ad Atlanta, Georgia. Fondato nel 1946 con il nome di Communicable Desease Center, scelse Atlanta come sede principale poiché allora la capitale georgiana si trovava nel cuore della cosiddetta “zona della malaria“. Cinque anni dopo, nel 1951, gli Stati Uniti furono dichiarati malaria-free.

Un’eccellenza della sanità pubblica USA

I CDC rappresentano una delle eccellenze della sanità pubblica americana, ma come vedremo in questo breve articolo, la sua fama né uscirà appannata quando gli Stati Uniti furono travolti dal Covid19. La fama dei CDC era stata costruita anno dopo anno con la lotta alla malaria, al tifo, alla rabbia e soprattutto alla poliomielite.

Nel 1981, il CDC segnalò i primi casi di AIDS a Los Angeles. Aveva, inoltre, tra le sue competenze anche la sicurezza sul lavoro, e si unì al National Institute of Justice per organizzare, nel 1994, la prima rilevazione ufficiale sulla violenza contro le donne. Reputazione e credibilità insieme alla capacità di operare al di fuori delle influenze dei contesti politici statunitensi ne edificarono il mito. Il cinema si impossessò dell’immagine di squadre di impavidi “cacciatori di virus” che operavano nei più svariati paesi del mondo, alla ricerca dei patogeni che costituivano una seria minaccia per le persone.

Il cinema e il CDC

Fra tutti, forse il più celebre e anche il più accurato nella ricostruzione scientifica di una pandemia letale è Contagion, (2011) per la regia di Steven Soderbergh. “Protagonista” del film è il virus MEV-1 che si diffonde dagli animali alle persone a Hong Kong, uccidendo decine di milioni di uomini e donne in tutto il mondo. Con un cast di eccezione (Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet e Bryan Cranston), “Contagion” ha saputo raccontare in modo realistico il nascere e lo svilupparsi di una pandemia, grazie anche alla consulenza di esperti del Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) americano. Gli stessi Ellis Cheever, capo del CDC e la dottoressa Ally Hextall, interpretati rispettivamente da Laurence Fishburne e Jennifer Ehle, rappresentano il ruolo e il coraggio degli “investigatori di virus” dell’agenzia americana.

Il CDC agli inizi della pandemia

Oggi il CDC ha le dimensioni di un college con una struttura di massima sicurezza che contiene e cataloga tutte le malattie più letali del mondo. Le cavie da laboratorio vivono nelle gabbie che si trovano nelle stanze del Livello di Biosicurezza 4. I ricercatori si muovono dentro tute gonfiate, legati a un sistema di areazione dall’alto.

sede del CDC di Atlanta

John Brooks era il medico a capo del team di risposta alla COVID-19 insieme all’epidemiologo assegnista Greg Armstrong, a sua volta, a capo dell’Office of Advanced Molecular Detection, una sezione del centro del CDC che si occupa di malattie emergenti e zoonotiche, cioè quelle che provengono dagli animali. Armostrong si rese conto molto presto, che contrariamente alla MERS e alla SARS, il nuovo patogeno SARS-Cov-2, oltre a trasmettersi da uomo a uomo, produceva un numero significativo di infezioni asintomatiche o paucisintomatiche.

Per un sintomo in più

Questo era lo scenario peggiore per un’epidemia, tracciamento e quarantena per i casi conclamati non sarebbero stati opzioni sufficienti per rallentare il contagio. La scarsa chiarezza sull’effettiva contagiosità del nuovo virus indusse molti a ritenere che le persone non sarebbero state contagiose fino alla manifestazione dei sintomi, come per altro era avvenuto con un altro coronavirus, quello della temutissima SARS.

Nonostante i dubbi di Armstrong le prime linee guida del CDC sposarono la teoria contagio=sintomi. Quando Brooks e i suoi ricercatori iniziarono a capire di aver preso una topica a quel punto l’Amministrazione Trump aveva già messo la museruola al CDC. La debacle del CDC però era appena all’inizio.

La chiave d’ingresso del virus

Brooks sapeva che con i coronavirus il punto debole per l’infezione negli esseri umani è il recettore ACE2. Il recettore è la “serratura” che il virus cerca per entrare nella cellula. I recettori ACE2 sono enzimi presenti nei polmoni e nei reni, nonché nell’intestino e nel cervello, e sono responsabili di numerose malattie negli esseri umani. Sono anche abbondantemente presenti nelle cellule endoteliali.

L’endotelio è il tessuto costituito dalle cellule endoteliali che ha la funzione di rivestire l’interno delle pareti del cuore, dei vasi sanguigni e di quelli linfatici. Tra le sue attività c’è quella di rappresentare una barriera verso l’esterno, come è il caso, ad esempio, della barriera emato-encefalica del cervello.

Il virus si lega a questi recettori, si intromette nell’ingranaggio della cellula per creare copie di se stesso, quindi uccide la cellula stessa, e ne ripulisce la sottile parete cellulare, alterando il flusso sanguigno. Potenti contenuti chimici vengono scaricati nel flusso sanguigno, provocando infiammazioni in altre parti del corpo. Come se non bastasse il virus provocava numerosi casi di ipercoagulazione. Questi coaguli attivano embolie polmonari altamente pericolose. Infine il virus provocava una risposta iperimmune, le malattie infettive spesso uccidono innescando una risposta eccessiva del sistema immunitario.

Le città sentinella e il primo test anti-Covid

In una riunione della Task Force contro il coronavirus, Robert Redfield il direttore del CDC annunciò che avrebbe inviato un numero limitato di kit per i test a cinque città denominate “città sentinella”. Il vice consigliere per la Sicurezza Nazionale che partecipava alla task force, Matt Poettinger rimase basito. Perché solo cinque città? Scoprì allora che il CDC faceva sì i test, ma non su larga scala. Per un obiettivo del genere era necessario rivolgersi a colossi privati come Roche o Abbott in grado di produrre milioni di test al mese.

Il segretario Azar, coordinatore della task force mentre martellava quotidianamente il CDC per incitarli a colmare i ritardi accumulati, a Trump presentava una visione ottimistica della situazione epidemica nel paese. Il 20 gennaio, il CDC consegnò i suoi test alla Food and Drug Administration (un test efficiente era già stato sviluppato in Germania pochi giorni prima). Era “il test più veloce mai creato prima”, si vantò Azar con Trump. La FDA tirò fino al 4 febbraio prima di approvarlo. Il Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction (rRT-PCR), si assicurava, nelle prossime settimane sarebbe stato condiviso con partner nazionali e internazionali attraverso l’International Reagent Resourc dell’agenzia.

Una “ditta artigianale” per una pandemia globale

La gracilità organizzativa del CDC impose che il test inizialmente fosse somministrato soltanto ai pazienti sintomatici che provenivano dalla Cina o che erano stati a stretto contatto con una persona infetta. Per le persone che riuscivano ad effettuare il test potevano volerci fino a due settimane per conoscere l’esito. Un tempo così lungo da rendere inutile lo stesso test ai fini del contact tracing o dell’isolamento di focolai epidemici.

A causa dell’enorme lavoro arretrato del CDC nell’elaborazione dei campioni provenienti dai laboratori di tutto il paese, l’agenzia decise di produrre kit per i test affinché i laboratori statali potessero analizzarli autonomamente. Superati in velocità dalla Germania che aveva messo a punto un test efficace il responsabile della messa punto di questo test velocizzò le fasi produttive rischiando una possibile contaminazione dei kit.

I kit contaminati

Proprio mentre i kit venivano imballati e spediti, un controllo di qualità dell’ultimo minuto rilevò un problema che avrebbe potuto far fallire un terzo dei test. Pressati dall’urgenza del momento i kit vennero comunque spediti ma nei laboratori statali quei test iniziarono a produrre, con una frequenza allarmante, molti falsi positivi. Cosa era accaduto?

Il kit del CDC conteneva tre frammenti di acido nucleico di un segmento RNA del virus denominati N1, N2 e N3. I primi due cercavano il SARS-CoV-2 e il terzo avrebbe individuato qualsiasi coronavirus, nel caso di una mutazione. Quest’ultimo elemento non funzionava. I laboratori statali, individuato il problema, chiesero il 9 febbraio 2020 al CDC il permesso di utilizzare i kit senza il terzo componente.

Tramortito il CDC inizialmente non rispose. Il 10 febbraio la Food and Drug Administration apprese che in alcuni laboratori del CDC era avvenuta una contaminazione. Immediatamente si scatenò il balletto dello scaricabarile tra il CDC, la FDA e i laboratori dei singoli Stati americani. Il 12 febbraio, i funzionari del CDC stimarono che ci sarebbe voluta un’altra settimana per ricostruire il terzo componente, ma sei giorni dopo, il direttore dell’agenzia disse al segretario Azar (l’equivalente del nostro Ministro della Salute) che i tempi sarebbero stati più lunghi, e che si sarebbe arrivati fino a metà marzo.

500 test in un mese!

Intanto i test fallivano a ripetizione in quasi tutti i laboratori statali. Ad un mese dall’individuazione del primo paziente ufficiale di Covid19 il CDC aveva condotto meno di 500 test! Per avere un paragone la Corea del Sud aveva testato già 65.000 persone e la Cina procedeva a un ritmo di 1,6 milioni di test a settimana. Il 22 febbraio la FDA invia un ispettore ad Atlanta per verificare sul campo le ragioni di questa disfatta del CDC. L’ispettore un uomo di grande esperienza non faticò ad individuare le cause della contaminazione.

In uno dei laboratori, i ricercatori analizzavano i campioni dei pazienti nella stessa stanza in cui venivano assemblati le componenti dei test. In questo modo le condizioni di sicurezza inadeguate permettevano la contaminazione dei kit. Il rimedio di questo disastro fu semplice, quanto disonorevole per un’istituzione che fino a poco tempo prima era ammantata di un’aurea di efficienza e credibilità quasi senza pari. La produzione fu appaltata a due grandi produttori esterni che in una settimana resero disponibili decine di migliaia di test efficaci e sicuri. Intanto il 26 febbraio la FDA autorizzava i laboratori statali ad utilizzare il test del CDC senza il terzo componente.

Ormai però il bue era definitivamente scappato dalla stalla.

Le altre puntate di Storia di una pandemia

Storia di una pandemia: L’inizio – Ep. 1

Storia di una pandemia: Il colosso dai piedi d’argilla Ep. 2

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

L’anno della peste di L. Wright

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