giovedì, Maggio 9

Breve storia sulla teoria dell’estinzione dei dinosauri

Oggi, la teoria più accreditata e condivisa dalla comunità scientifica sull’estinzione dei dinosauri è quella dell’impatto sulla superficie terrestre di un enorme asteroide (dal diametro di 10-12 km) avvenuto circa 66 milioni di anni fa, che nell’arco di pochi minuti avrebbe sconvolto la storia della vita sulla Terra dando inizio a un lunghissimo “inverno da impatto” facendo fuori non soltanto i dinosauri ma anche gran parte della vita sul nostro pianeta.

Forse però non tutti sanno che la teoria dell’impatto osteggiata fino (e oltre) la metà degli anni Novanta dello scorso secolo nasce in Italia grazie al lavoro di un giovane geologo del Lamont Doherty Laboratory della Columbia University. Nei primi anni Settanta, Walter Alvarez, questo è il suo nome, stava conducendo alcune ricerche sull’Appennino umbro, in una valle pittoresca nota come gola del Bottaccione, vicino a Gubbio, quando fu colpito da una sottile banda di argilla rossa che divideva due antichi strati calcarei, uno risalente al Cretaceo, l’altro al Terziario.

In geologia questo punto è noto come il confine KT e corrisponde a circa 65 milioni di anni fa, proprio quando i dinosauri e almeno la metà delle altre specie viventi scompaiono all’improvviso dalla documentazione fossile. Fino ad allora la teoria dominante che cercava di spiegare questo fenomeno era quella cosiddetta “gradualista” che immaginava un lungo processo naturale di estinzione di questi animali. Per Alvarez l’esiguo spessore di quella striscia di argilla rossa, circa sei millimetri, faceva invece pensare a qualcosa di molto più repentino e drammatico.

Walter chiese aiuto a suo padre, Luis Alvarez, celebre fisico nucleare che dieci anni prima aveva vinto il Nobel per la Fisica. I due Alvarez insieme si rivolsero a Frank Asaro – un collega del grande fisico presso il Lawrence Berkeley Laboratory – che aveva messo a punto una tecnica per misurare con grande precisione la composizione chimica delle argille servendosi di un processo denominato «analisi per attivazione neutronica». Era l’ottobre del 1977 e nonostante Asaro fosse impegnato da un serie di ricerche, riuscirono a strappare il suo consenso per esaminare un campione della striscia d’argilla recuperata in quel di Gubbio.

La mole di lavoro di Asaro era però tale che passarono otto mesi prima che lui e i suoi collaboratori potessero esaminare il campione. Finalmente il 21 giugno 1978 alle ore 13.45, Asaro inserì il campione nel rilevatore e ce lo lasciò 224 minuti. I risultati furono inaspettati. La quantità di iridio presente nel campione di Alvarez superava di trecento volte i livelli normali e altre analisi fatte su campioni prelevati in Danimarca, Spagna, Francia, Nuova Zelanda, Antartide – mostrarono che il deposito di iridio era un fenomeno che interessava tutto il mondo, ed era enormemente alto dappertutto, in certi casi superando i livelli normali anche di cinquecento volte.

La spiegazione più plausibile per questi picchi di iridio concentrati in quella fascia temporale per gli Alvarez era necessariamente da ricondursi ad un impatto del nostro pianeta con un asteroide o una cometa. L’idea che la Terra fosse stata soggetta ad impatti devastanti con corpi celesti non era certamente nuova. Uno scenario del genere era stato già prospettato nel 1942 dall’astrofisico Ralph B. Baldwin e nel 1956 un professore della Oregon State University, M.W. de Laubenfels, scrivendo sul Journal of Paleontology aveva in pratica anticipato la teoria degli Alvarez, ipotizzando che i dinosauri fossero stati spazzati via dagli effetti causati dalla collisione con un corpo celeste.

Quando nel corso dell’incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science, tenutosi nella prima settimana del 1980, gli Alvarez annunciarono la loro convinzione che l’estinzione dei dinosauri non avesse avuto luogo nel corso di un qualche lento e inesorabile processo durato milioni di anni, ma fosse avvenuta all’improvviso a causa di un singolo evento catastrofico, avrebbero quindi dovuto aspettarsi un consesso scientifico predisposto verso questa teoria. Non fu così e soprattutto, ma non unicamente, i paleontologi bollarono questa teoria come fantasiosa e irrealistica. Probabilmente la specializzazione dei tre presentatori, un geologo, un fisico nucleare e un chimico nucleare non favorì l’accettazione della comunità paleontologica che vedeva in questo terzetto una sorta di trio di dilettanti allo sbaraglio.

Inoltre la teoria dell’impatto metteva in discussione il gradualismo dei fenomeni viventi che era una sorta di “religione scientifica“. Gli oppositori della teoria dell’estinzione repentina a seguito di un impatto catastrofico proposero varie teorie alternative, come quella dei “trappi di Deccan”, tutte però fragili o smentite nel corso degli anni. Ancora alla fine degli anni Ottanta la quasi totalità dei paleontologi americani rifiutava la teoria degli Alvarez, puntando sul tallone d’Achille della stessa, ovvero l’assenza del luogo dove si sarebbe verificato, 65 milioni di anni prima, il drammatico impatto: ovvero il cratere risultante dalla collisione.

Nel 1995, alla conferenza annuale dell’American Geophysical Union, Glenn Izett e C.L. Pillmore, dello US Geological Survey, annunciarono che il cratere di Manson, nello Iowa (Stati Uniti) era abbastanza antico da poter essere implicato nell’estinzione dei dinosauri. Seguì un grande rumore mediatico ma un’attenta analisi rivelò che il cratere in questione era non solo troppo piccolo ma si era formato 9 milioni di anni prima del dovuto.

La scoperta del vero punto dell’impatto avviene casualmente. Nel 1990 Alan Hildebrand della University of Arizona incontrò per caso un giornalista dello Huston Chronicle che era a conoscenza di una vasta formazione circolare, larga 193 chilometri e profonda 48, sotto la penisola messicana dello Yucatan, a Chicxulub, vicino alla città di Progreso. Questo grande cratere era stato casualmente scoperto dalla PEMEX, la compagnia petrolifera messicana nel 1952. Erroneamente all’inizio si pensò che questo cratere fosse di origine vulcanica, anche per lo scetticismo di molti scienziati che non riuscivano ad accettare che un oggetto grande poco meno di dieci chilometri avesse prodotto una devastazione così grande su un pianeta dal diametro di tredicimila chilometri.

Ci vorranno le osservazioni condotte da Shoemaker e Levy, grazie al telescopio Hubble, della cometa che porta il loro nome in rotta di collisione con Giove. La cometa che in realtà era una stringa di ventuno frammenti iniziò a schiantarsi nel luglio del 1994 contro il gigante gassoso che domina il Sistema Solare. Per la prima volta l’uomo, grazie ad Hubble, assisteva in “diretta” a delle collisioni cosmiche. Un frammento noto come Nucleo G delle dimensioni di una piccola montagna aprì su Giove devastazioni grandi come il nostro pianeta.

Il risultato di queste osservazioni mise a tacere gran parte dei critici della teoria degli Alvarez. Ormai il fatto che i dinosauri si fossero estinti in pochissimo tempo a seguito della collisione cosmica di un oggetto celeste si era definitivamente imposto. Luis Alvarez non seppe mai niente del cratere sito nella penisola dello Yucatan, né della cometa Shoemaker-Levy 9 che si era schiantata su Giove, era infatti morto nel 1988.

Anche Shoemaker nel 1997 perderà la vita per un incidente stradale lungo una pista del deserto australiano del Tanami. Una parte delle ceneri di Eugene Shoemaker, geologo statunitense fondatore del campo delle scienze planetarie, venne portata e dispersa al polo sud della Luna, dalla sonda Lunar Prospector. A oggi, è l’unica persona ad essere stata sepolta, seppure in parte, sulla Luna.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Storia di quasi tutto di B. Bryson

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