giovedì, Maggio 2

Il delitto della cavallina storna

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna
;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.

Tu c’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla”
.

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso
:

adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia…”

Coloro che hanno una certa età ricorderanno sicuramente i versi di questa poesia di Giovanni Pascoli (1855-1912) che dovevamo imparare a memoria a scuola. Si tratta di una delle sue poesie più famose e parla di un delitto, ovvero della morte violenta del padre del poeta Ruggero Pascoli.

L’omicidio che sconvolse San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli) avvenne il 10 agosto 1867 quando Giovanni aveva appena dodici anni. Il padre del poeta, sposato a Caterina Allocatelli, discendente da un nobile casato di Sogliano al Rubicone, era l’amministratore dei possedimenti rurali di proprietà dei principi di Torlonia.

La “Torre”, situata all’estremo limite di San Mauro Pascoli, era al centro di quelli che furono i possedimenti rurali di proprietà dei Principi Torlonia di Roma.

Ruggero Pascoli viene ucciso con un colpo di fucile in fronte il 10 agosto 1867 mentre in calesse torna verso casa da Cesena dove si era recato per affari. Quell’omicidio sconvolge la vita familiare tutto sommato serena di Giovanni ed inaugura una drammatica stagione di lutti che colpirà, provandolo duramente, il poeta: (un anno dopo, moriva di tifo, a soli diciotto anni, la sorella Margherita e dopo poco la madre; nel 1871 si spense Luigi, che aveva appena conseguito la licenza liceale; nel 1876 morirà di tifo Giacomo, un altro fratello).

Il delitto che rimarrà impunito fu probabilmente compiuto da due sicari ed il corpo del padre del poeta riverso sul calesse fu trasportato per un lungo tratto dalla spaventata “cavallina storna”. Se per le autorità il mandante dell’assassinio rimase per sempre sconosciuto è molto probabile che la gente del posto e la stessa famiglia Pascoli avesse fondati sospetti sulla persona che aveva pagato i due killer per eliminare Ruggero.

Questo lo si evince anche dalla stessa poesia quando il poeta fa dire alla madre, rivolta alla cavalla: «Ti voglio dire un nome / E tu fa cenno. Dio t’insegni come». Il magistrato che diresse l’inchiesta indagò due agitatori politici di Cesena, in realtà due criminali comuni gravitanti intorno ai movimenti di sinistra per interesse, Luigi Pagliarani detto Pajarèn e soprannominato Bigeca o Bigecca e Michele Della Rocca, che furono però prosciolti. La famiglia Pascoli respinse però sempre con fermezza il movente politico.

La maggioranza dei concittadini pensava, però, che l’uomo, in qualità di agente e amministratore della tenuta dei principi Torlonia, avesse ostacolato, nel suo lavoro, qualche potente malavitoso della zona, forse un contrabbandiere. Per i Pascoli invece  i due sicari agirono su mandato di chi voleva succedere a Ruggero nel prestigioso incarico, il quale, secondo Giovanni, forse aveva anche avuto parte nell’esecuzione del delitto e sarebbe stato presente sul luogo dell’omicidio. Questa tesi è stata alla base di un film del 1953, intitolato La cavallina storna, ispirato appunto all’omonima poesia.

Giovanni Pascoli dopo qualche anno svolse delle indagini private e si convinse che gli assassini avessero agito su incarico di Pietro Cacciaguerra, uomo violento e prepotente che aveva avuto dei contrasti con Ruggero (notoriamente uomo onesto e corretto), e aspirante amministratore della tenuta. Emigrato in Sudamerica, dove fece fortuna rientrato in Italia era divenuto un possidente e “signorotto” del luogo, e l’anno dopo l’omicidio, venne nominato amministratore della tenuta dei Torlonia, quasi confermando la “vox populi” che lo voleva responsabile dell’omicidio.

Come che sia, dal punto di vista processuale, il delitto della “cavallina storna” rimase impunito e Giovanni Pascoli porterà questa ferita per tutta la vita.

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