Nell’aprile del 2016 una donna si presentò in un ospedale della Pennsylvania (Stati Uniti) con sintomi di un’infezione batterica. Alle analisi risultò che il patogeno responsabile era Escherichia Coli, solo che questo particolare batterio aveva una caratteristica del tutto originale ed allarmante: era resistente ad un antibiotico chiamato colistina, sintetizzato nel 1949 e considerato un farmaco da ultima scelta, in quanto viene usato solo in casi particolarmente gravi visto i pesanti effetti collaterali sui reni.
La resistenza agli antibiotici di tutta una serie di agenti patogeni sta purtroppo diventando una pericolosa realtà, tanto da far dire ad alcuni ricercatori che l’utilizzo di questi preziosi presidi farmacologici stanno arrivando a fine corsa. E quasi certo che entro i prossimi venti anni saremo colpiti da una pandemia simile alla spagnola che causò più vittime della Prima Guerra Mondiale. (Cento anni fa la spagnola, la pandemia più letale della storia dell’umanità)
Nei primi 19 anni di questo secolo ben tre volte abbiamo sfiorato lo scatenarsi di una letale pandemia: la SARS nel 2003, la cosiddetta influenza suina nel 2009 e l’Ebola nel 2014. Per un mix di fortuna e caratteristiche specifiche di queste epidemie le organizzazioni sanitarie sono riuscite a contenerle ben al di sotto dell’allarme che avevano inizialmente causato.
La situazione è tutt’altro che tranquilla basti osservare che la ricerca impiega anni, a volte decenni per realizzare nuovi vaccini mentre un’epidemia impiega pochi mesi per diffondersi su scala planetaria. Inoltre le grandi case farmaceutiche da tempo hanno abbandonato la sintesi di nuovi antibiotici ritenendo questa linea di prodotti che vanno assunti per pochi giorni e solo in caso di stretta necessità poco remunerativa, tanto è vero che l’ultimo antibiotico sintetizzato risale al 1987, più di 30 anni fa.
Per fronteggiare il problema un gruppo di governi e di fondazioni biomediche ha costituito nel 2017 la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations che intende destinare oltre un miliardo di dollari per lo studio e la messa a punto di nuovi vaccini con iniziale priorità per tre infezioni, tutte trasmesse all’uomo da animali: la sindrome respiratoria mediorientale, la febbre di Lassa ed il virus Nipah.
Per fronteggiare la maggiore resilienza agli antibiotici degli agenti patogeni sarà necessario intervenire preventivamente sui comportamenti e le abitudini di vita delle popolazioni, ad iniziare da quelle a rischio. Gli epidemiologi stanno inoltre compiendo numerosi studi su come le persone si spostano ed interagiscono a livello mondiale utilizzando indagini campionarie, dati provenienti da telefoni cellulari ed immagini satellitari.
Questi studi consentiranno alle agenzie sanitarie interventi mirati per aree territoriali in caso di epidemie, per contrastarne e ridurne la diffusione. Inoltre tecniche di indagine su misura vanno sempre più diffondendosi riuscendo cosi ad anticipare l’individuazione dell’agente patogeno prima che esso si sia diffuso su larga scala.
Queste tecniche utilizzeranno la sequenziazione del genoma ed altri nuovissimi test per capire che effetto faranno determinate curo su uno specifico paziente. Si tratta di passare da una pratica medica reattiva ad una proattiva. I test genetici già adesso sono in grado di individuare una mutazione genica, a carattere ereditario, particolarmente pericolosa, come ad esempio quella del gene BRCAI che conferisce ad una donna il 65% di probabilità di contrarre un tumore al seno. In questo modo si può intervenire con una chirurgia preventiva per ridurre il rischio di contrarre il tumore, è quello che ha fatto, nello specifico, l’attrice Angelina Jolie nel 2013 dopo che il test genetico aveva confermato la mutazione del gene BRCAI.
La sfida del futuro sarà passare dall’analisi di singoli geni a quelli di un intero genoma. Quando questo sarà possibile ed avremo un’analisi predittiva affidabile il controllo sul nostro stato di salute e sulle conseguenti scelte scivolerà dai medici ai pazienti. Inoltre il miglioramento delle terapie e della diagnostica e i servizi sanitari più efficienti già da adesso ci consentono di vivere più a lungo, ma paradossalmente con la necessità di gestire malattie croniche non più letali ma comunque invalidanti.
Questo significa e significherà sempre di più enormi risorse finanziarie ed anche emotive per gestire una larga fetta di popolazione anziana affetta da malattie croniche.