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Le impronte digitali, piccolo viaggio tra storia e anatomia

La Francia degli inizi del Ventesimo secolo aveva un grosso problema con i criminali recidivi. Il sistema giudiziario francese era infatti orientato per comminare pene molto severe a coloro che reiteravano i reati, pene che potevano giungere fino alla condanna a morte o all’esilio in territori lontanissimi e malsani come l’Isola del Diavolo. Per questo quando venivano catturati gli imputati si dichiaravano colpevoli di un primo crimine. Identificare i recidivi dunque era diventata una priorità essenziale.

Entra in scena Bertillon

La svolta avviene quando un semplice impiegato della Questura parigina, Alphonse Bertillon viene promosso a capofotografo. Bertillon nato a Parigi, il 22 aprile 1853 era nipote di Achille Guillard (uno statistico che inventò la parola demografia), figlio dello statistico Louis-Adolphe Bertillon e fratello del demografo Jacques Bertillon.

Era abbastanza scontato che nel climax di questa famiglia anche Alphonse fosse un cultore delle scienze, soprattutto quelle applicate alle tematiche forensi. Dopo anni di studi e perfezionamenti, Bertillon mette a punto un sistema di identificazione che chiamerà antropometria.

I sospettati venivano sottoposti a 14 misurazioni, alcune alquanto singolari come l’altezza da seduti, la lunghezza del mignolo sinistro, l’ampiezza della guancia. Si trattava di elementi, che secondo Bertillon, non si modificavano con l’invecchiamento. A queste 14 misurazioni si aggiungeva la registrazione delle impronte digitali, che però il nostro Bertillon riteneva forse l’elemento meno utile per identificare un criminale. Il “sistema Bertillon” come fu chiamato era di fatto l’anticipatore della moderna scheda segnaletica, ancora in uso in tutte le polizie del mondo.

L’assassino di rue du Faubourg-Saint-Honoré

A ridimensionare il ruolo dell’antropometria a favore delle impronte digitali ci penserà un omicidio perpetrato nel novembre del 1902, in rue du Faubourg-Saint-Honoré, una delle zone più ricche di Parigi. Qui un uomo viene ucciso nel suo appartamento e alcune preziose opere d’arte vengono trafugate.

La scena del crimine è priva di indizi utili alle indagine, tanto che per provarle tutte viene convocato Bertillon con il suo team. Il caso vuole che sul telaio di una delle finestre del numero 157 di rue du Faubourg-Saint-Honoré vengono rinvenute alcune impronte digitali, attraverso le quali Bertillon riesce ad identificare l’assassino, un certo Henri-Lèon Scheffer.

La notizia fa il giro del mondo causando un grande scalpore e in breve tempo le impronte digitali diverranno uno strumento essenziale delle forze di polizia per identificare i colpevoli di una vasta gamma di crimini.

Le impronte digitali queste conosciute

Bertillon però non aveva inventato niente. In Occidente l’unicità delle impronte digitali era già stata dimostrata nel XIX secolo dall’anatomista ceco Jan Purkinje. In Estremo Oriente i cinesi avevano fatto la stessa scoperta però oltre mille anni prima.

Bertillon non era arrivato primo neppure nell’applicazione di questa scoperta alle scienze forensi. Francis Galton, cugino di Charles Darwin, aveva suggerito di utilizzare le impronte digitali per catturare i criminali diversi anni prima del “sistema Bertillon”. E la stessa cosa aveva fatto un missionario scozzese, Henry Faulds, che viveva in Giappone.

Bertillon non fu neppure il primo ad usarle per catturare un assassino. Dieci anni prima in Argentina questo sistema era già stato usato con successo per imprigionare un omicida. Nonostante questo al nostro Bertillon, un ometto ferocemente antisemita che verrà utilizzato come accusatore nell’affare Dreyfuss, verrà riconosciuto un primato che non deteneva. Potere della stampa!

A che servono i dermatoglifi?

Non sappiamo in base a quale circostanza evolutiva si sono formate quelle linee che adornano i nostri polpastrelli. Anche la convinzione che non esistono due impronte digitali identiche è una congettura statistica, avvalorata dal fatto che fino ad adesso non ne sono state trovate due uguali.

La cosa non deve stupirci, nel mondo sono vissute, secondo una stima abbastanza attendibile circa 105 miliardi di persone e solo ad una parte infinitesimale di esse sono state registrate le impronte digitali. Il nome scientifico delle impronte digitali è dermatoglifi. Le linee in rilievo di cui sono fatte sono le creste papillari.

Nella ricerca di una possibile funzione dei dermatoglifi alcuni ipotizzano che essi servano a migliorare la presa degli oggetti, ma non ci sono prove inoppugnabili in tal senso. Secondo altri le volute delle impronte digitali potrebbero drenare meglio l’acqua, rendere la pelle più elastica e duttile o magari acuire la sensibilità, però sono solo ipotesi.

Probabilmente le impronte digitali, ad eccezione della loro utilità forense per l’accertamento delle responsabilità criminali, non hanno alcuna funzione specifica per il nostro corpo. La cosa non deve stupirci più di tanto, l’evoluzione è anche un processo del tutto casuale.

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Bryson, Bill. Breve storia del corpo umano

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