lunedì, Maggio 20

Violet Gibson, l’attentato a Mussolini e l’avvento di Claretta Petacci

Benito Mussolini nel corso della sua ventennale esperienza di dittatore subì una mezza dozzina di attentati. Il primo di essi, se si esclude quello abortito del deputato Tito Zaniboni, avviene il 7 aprile 1926, ad opera di una cinquantenne inglese Violet Gibson.

Una vita complicata

Chi era costei? Figlia di Edward Gibson, avvocato e politico irlandese nominato barone di Ashbourne nel 1885 e Lord Cancelliere d’Irlanda  e della cristiana scientista Frances Colles, Violet che pure aveva debuttato a corte durante il regno della Regina Vittoria, ad un certo punto della sua vita cambierà radicalmente vita.

Diventata seguace dell’antroposofia steineriana, atea e fortemente critica dello stile di vita britannico, Violet ebbe un grave esaurimento nervoso nel 1922. Dichiarata pazza e internata in un istituto mentale per due anni, tenterà il suicidio all’inizio del 1925. Lo stesso anno si trasferisce a Roma.

L’attentato

E’ una donna precocemente invecchiata e con chiari segni di squilibrio mentale quella che il 7 aprile 1926 attende l’uscita dal Campidoglio di Mussolini. Il Duce del Fascismo ha appena inaugurato un congresso di chirurghi quando lei esplode un colpo di pistola che soltanto per miracolo sfiora il naso del Duce del Fascismo.

Probabilmente a salvare Mussolini sarebbe stato un saluto romano che porgeva proprio nel momento dello sparo: tirando indietro il capo, irrigidendosi come sua abitudine nel saluto, avrebbe inconsapevolmente portato la testa fuori traiettoria. Sottratta a stento da un tentativo di linciaggio della folla la donna verrà processata dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato ed assolta in istruttoria per totale infermità mentale.

La morte

Espulsa in Inghilterra la Gibson verrà internata per 30 anni presso il St Andrew’s Hospital a Northampton, ove morì, il 2 maggio 1956, all’età di 80 anni. Qualche giorno dopo l’attentato sulla scrivania del Duce arriva una lettera di un’infervorata quattordicenne, che legherà indissolubilmente il proprio destino a quello di Mussolini, fino a trovarvi la morte insieme all’ex dittatore negli ultimi convulsi giorni di guerra.

La prima lettera di Claretta Petacci

Ecco il testo integrale della lettera di Claretta Petacci, il suo primo contatto con Mussolini. Lo stile magniloquente dell’epoca non nasconde l’infatuazione che di cui l’adolescente è preda.

Duce. Per la seconda volta hanno attentato vigliaccamente alla Tua persona. Una donna! Quale ignominia, quale viltà, quale obbrobrio! Ma è una straniera e tanto basta! Duce amato, perché hanno tentato un’altra volta di toglierti al nostro forte e sicuro amore? Duce, mio grandissimo Duce, nostra vita, nostra speranza, nostra gloria, come vi può essere un’anima così empia che attenti ai fulgidi destini della nostra bella Italia?

O, Duce, perché non vi ero! Perché non ho potuto strangolare quella donna assassina che ha ferito Te, divino essere? Perché non ho potuto toglierla per sempre dalla terra italiana, che è stata macchiata dal Tuo puro sangue, dal Tuo grande, buono, sincero sangue romagnolo! Duce, io voglio ripeterti come l’altra tristissima volta [evidentemente gli aveva già scritto] che ardentemente desidererei di posare la testa sul Tuo petto per potere udire ancora vivi i palpiti del Tuo cuore grande [la frase è sottolineata dalla solita matita rossa di Mussolini].

Queste dolorose e memorabili date rimarranno impresse nel mio cuore: 4 novembre 1925, 7 aprile 1926. O, Duce, Tu che sei l’uomo del nostro avvenire, che sei l’uomo amato sempre con crescente fervore e passione dal popolo italiano e da chi non desidera la sua decadenza, non devi mancarci mai. Quando ho appreso la triste notizia, ho creduto di morire perché Ti amo profondamente come una piccola fascista della prima ora.

Duce, quanto avrà sofferto il Tuo cuore buono e sensibile nell’accorgersi che una mano straniera ha tentato spezzare la Tua Santa opera rigeneratrice e potente. Amatissimo Duce, fedeltà immortale Ti hanno giurato di nuovo tutte le Tue camicie nere, e io piccola, ma ardita fascista, con il mio motto preferito comprendo tutto l’amore che il mio cuore giovanile sente per Te: «Duce, la mia vita è per Te! Il Duce è salvo! W il Duce!».

Clara Petacci (anni quattordici),
Lungo Tevere Cenci, 10

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