sabato, Dicembre 14

Dio ha creato il cibo, il diavolo le calorie!

Non c’è dieta che si rispetti che non accenni, in modo più o meno rigoroso, alle calorie. Un numeretto, croce e delizia, di chi si trova nella condizione di dover perdere alcuni chili di troppo. L’indimenticata attrice Audrey Hepburn, affermava che ridere era il miglior modo per bruciare le calorie. Purtroppo questa poetica affermazione non trova sostanza nella scienza della nutrizione. Ma sappiamo davvero cosa sono le calorie? E soprattutto una dieta equilibrata e corretta si deve basare soltanto su un limite di assunzione da non superare?

Un nome sbagliato

Iniziamo dal nome corretto, quella che colloquialmente definiamo caloria è in realtà, la chilocaloria. Si tratta di un’unità di misura dell’energia. Nel caso specifico di quella alimentare. Una chilocaloria rappresenta l’energia necessaria per innalzare di 1 °C (precisamente, da 14,5 °C a 15,5 °C) la temperatura di 1 g di acqua distillata alla pressione atmosferica. Il fabbisogno calorico è del tutto individuale e dipende da un complesso sistema di fattori. Ecco perché si dovrebbero evitare le diete “fai da te” e affidarsi ad un nutrizionista per farsene “confezionare” una su misura.

Fino al 1964 la raccomandazione ufficiale negli Stati Uniti per un uomo mediamente attivo era di assumere 3200 calorie al giorno, e 2300 per una donna. Oggi questa raccomandazione è stata ribassata fino a 2600 calorie per l’uomo e 2000 per la donna. È quasi inutile sottolineare come gli americani (ma anche il resto del mondo ricco) supera abbondantemente questa soglia.

Il pioniere della caloria

Il padre della “caloria” e uno dei pionieri della scienza alimentare moderna è stato l’americano Wilbur Olin Atwater, un corpulento signore nato nel 1844 nel New England, laureato in chimica agraria alla Wesleyan University del Connecticut, da un viaggio di studio in Germania, apprese il nuovo e stimolante concetto di caloria. Tornato in patria si gettò con entusiasmo nell’impegnativo compito di conferire solide basi scientifiche a questo concetto.

Il suo esperimento più famoso è quello che portò Atwater a progettare il “calorimetro”, una camera sigillata, non più grande di un armadio, in cui i volontari venivano chiusi fino a cinque giorni, mentre lui e gli assistenti misuravano con precisione vari aspetti del metabolismo – entrata di cibo e ossigeno, produzione di anidride carbonica, urea, ammoniaca, feci eccetera – e calcolavano l’apporto calorico.

Dopo anni di studio pubblicò un saggio dal titolo The Chemical Composition of American Food Materials, che per anni fu il testo di riferimento in campo nutrizionale. Molte delle sue conclusioni erano sbagliate, all’epoca non si conoscevano le fondamentali funzioni delle vitamine e dei minerali.

Un eccesso di carne

Per Atwater l’importanza di un cibo era collegata alla quantità di energia fornita all’essere umano. Quindi frutta e verdura valevano pochissimo ed erano da scartare a favore della carne. Atwater consigliava di mangiarne 330 chili l’anno, quasi un chilo al giorno! Oggi un americano ne mangia 122 al giorno e per i nutrizionisti si tratta comunque di una quantità eccessiva, che produce non pochi danni alla salute. Ma torniamo alla caloria, come riferimento unico del corretto bisogno alimentare, questa misura presenta non pochi difetti.

Uno dei più gravi e che non dice niente sul fatto che un cibo sia più o meno adatto al consumo per l’uomo. Inoltre non spiega come vengono assorbiti i cibi durante il passaggio nel corpo. Infine può indurre ad eliminare totalmente degli alimenti particolarmente calorici che però in quantità corrette sono utili, se non indispensabili, per la salute umana.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Bryson, Bill. Breve storia del corpo umano: Una guida per gli occupanti

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