lunedì, Maggio 6

La burrata, una prelibatezza pugliese

Di recente, notizia data da “La Repubblica”, nell’aeroporto di Bari è stato predisposto uno spazio per lo stoccaggio di uno dei più famosi prodotti tipici pugliesi sempre più trendy: la burrata; una pasta filata con un ripieno gustoso e burroso, appunto. Il prodotto, perdipiù, sembra essere diventato il terzo al mondo secondo Taste Atlas dopo il Parmigiano ed il Gorgonzola. 

Ma cos’è e come si fa, la burrata? 

La burrata è un formaggio fresco, prodotto tutto l’anno da latte vaccino, a pasta filata, cioè una tipologia di formaggio, nato nel sud Italia (Puglia in questo caso), che dal 2016 è valorizzato con il marchio IGP di Andria. Il suo nome deriva non tanto dal ripieno quanto dal sapore, dolce e leggermente acidulo.

Ma cos’è un formaggio a pasta filata? È un tipo di formaggio, come mozzarelle e caciocavalli, sottoposto a “filatura”, cioè all’allungamento come fili della cagliata rotta in dimensioni di chicchi di riso o noce, in acqua calda a 90°C e poi modellata a mano secondo le forme desiderate.

Dal disciplinare, modificato di recente per venire incontro agli allevatori locali valorizzandone il latte, oltre che a tutelare e garantire ancora meglio il legame col territorio del prodotto, dato che dallo stesso disciplinare (art.3) si viene a sapere che l’Area di produzione, lavorazione e trasformazione è l’intero territorio Regionale della Puglia.

Infatti in Puglia esistono oltre 80000 vacche da latte, ma nella prima versione del Disciplinare non c’era l’obbligo di impiegare solo latte pugliese, anche perché su 3,6 milioni quintali di latte prodotto in Puglia, ben 2,7 milioni provengono da importazione, e oltre 35000 quintali di prodotti sono semilavorati (cagliate, caseinati, ecc.). Si può quindi ben capire la scelta del Consorzio di tutela, di modificare il Disciplinare per tutelare i produttori di latte locali. 

La produzione

La produzione inizia in caseificio partendo da latte crudo o pastorizzato a 72°C per 15secondi, quindi acidificato con latte innesto o siero innesto, fermenti selezionati o acidi (citrico o lattico). Il tutto avviene a 35°C o poco meno di 38°C. Viene anche aggiunto del caglio animale. A questo punto, come il lettore saprà, si ha la coagulazione delle K-Caseine e la formazione della cagliata, seguita dalla rottura in pezzi piccoli come nocciole.

Dopo una breve fase di riposo, avverrà la filatura a caldo: una parte serve per formare dei “sacchetti”, un’altra parte verrà sfilacciata a mo’ di fettucce,  mescolate con panna, che comporranno la stracciatella che costituirà il ripieno. Una volta riempito, il sacchetto di pasta, viene sigillato a caldo e poi raffreddato. Seguirà una fase di salatura in salamoia. A questo punto si è pronti per la fase di confezionamento in vaschetta (da 100g ad 1 Kg) e conservazione a 4°C-6°C.

Recentemente si sta anche puntando ad ottenere la più restrittiva ma valida DOP, anche realizzando un impianto per lo smaltimento dei reflui di caseificazione, e dal 2020 ne esiste una variante ripiena di…orecchiette! L’ideazione è di Vincenzo Troia, che con un accurato Storytelling ha promosso sui social questa squisita variante tutta “taste in Puglia”.

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BIOBLIOGRAFIA

Disciplinare “burrata di Andria”

Manuale del Casaro M. Grassi, HOEPLI

https://www.lattenews.it/laburrata/#:~:text=Il%20processo%20di%20filatura%20prevede,a%20ottenere%20un%20impasto%20omogeneo.

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