lunedì, Maggio 20

Misteriosa “scomparsa” di pianeti nello spazio

Misteriosa “scomparsa” di pianeti nello spazio. Ecco cosa può essere accaduto. Innanzitutto, bisogna precisare che per scomparsi non si intende volatilizzati nel nulla, bensì si sono spostati dalla loro posizione. Inoltre, bisogna fare una precisa catalogazione degli esopianeti dislocati nello spazio. Il numero di esopianeti confermati, attualmente, è di 5.197 in 3.888 sistemi planetari, con altri 8.992 candidati in attesa di conferma.

La maggior parte di loro sono pianeti particolarmente massicci, con dimensioni che vanno da giganti gassosi, quindi simili alle dimensioni di Giove e Nettuno, che possiedono un raggio di circa 2,5 volte quelli della Terra. Mentre, l’altra parte della popolazione di pianeti, statisticamente significativa, è formata dai pianeti rocciosi che possiedono un raggio di circa 1,4 raggi volte quello della Terra, per questo definiti super-Terre.

Tra i pianeti esistono poi altre due categorie, che presentano un mistero per gli astronomi, che sono rispettivamente i “radius valley” letteralmente la “valle del raggio”, che possiedono una dimensione di circa 1,8 volte quello della Terra. Tra questi molti sono stati scoperti dal telescopio spaziale Keplero, che ha individuato ben 2.600 pianeti.

La seconda misteriosa categoria è la cosiddetta “peas in a pod”, che significa letteralmente “piselli nel baccello”. Questa si riferisce a pianeti vicini di dimensioni simili che si trovano in centinaia di sistemi planetari con orbite armoniose. Ma qual è il collegamento tra i pianeti scomparsi e le due categorie?

La ricerca

Lo studio condotto dal progetto Cycles of Life-Essential Volatile Elements in Rocky Planets (CLEVER) presso la Rice University, un team internazionale di astrofisici ha fornito un nuovo modello, che spiega l’interazione delle forze che agiscono sui pianeti appena nati e che potrebbero spiegare il mistero. La ricerca è stata guidata da André Izidoro, un borsista post-dottorato gallese che ha partecipato al progetto CLEVER Planets della Rice, finanziato dalla NASA.

Il team di ricerca, che ha prodotto un documento apparso di recente sull’Astrophysical Journal Letters, ha utilizzato un super-computer per poter creare un modello di migrazione planetaria, che simulava i primi 50 milioni di anni di sviluppo del sistema planetario. I dischi proto-planetari di gas e polvere, nel loro modello, interagiscono anche con i pianeti in migrazione, avvicinandoli alle loro stelle madri e bloccandoli con una sorta di “catena orbitale” che si ripete.

Il disco proto-planetario, nell’arco di pochi milioni di anni, scompare. Questa condizione crea una rottura delle catene e provoca un’instabilità orbitale, che causa poi la collisione di due o più pianeti. Nonostante, i modelli di migrazione planetaria siano stati utilizzati per analizzare i sistemi planetari che conservavano le risonanze orbitali, questi risultati rappresentano una novità per gli astronomi.

André Izidoro, ha spiegato che: “Credo che siamo i primi a spiegare la valle del raggio, usando un modello di formazione dei pianeti e di evoluzione dinamica che spiega in modo auto-coerente i molteplici vincoli delle osservazioni. Siamo anche in grado di dimostrare che un modello di formazione planetaria, che tiene conto degli impatti giganti, è coerente con la caratteristica dei piselli in un baccello degli esopianeti”.

Il ricercatore continua spiegando che: “La migrazione di giovani pianeti verso le stelle che li ospitano crea sovraffollamento e spesso provoca collisioni catastrofiche che spogliano i pianeti delle loro atmosfere ricche di idrogeno. Ciò significa che gli impatti giganti, come quello che ha formato la nostra Luna, sono probabilmente un risultato generico della formazione del pianeta”. Gli impatti cambiano completamente l’assetto dei sistemi planetari e capovolgono gli equilibri presenti precedentemente.

Ulteriori dettagli della ricerca

La ricerca suggerisce che i pianeti si possono dividere in due varianti, costituiti da pianeti aridi e rocciosi che sono più grandi del 50% della Terra, quindi super-Terre, e pianeti ricchi di ghiaccio d’acqua con una dimensione di circa 2,5 volte la dimensione della Terra, ossia i mini-Nettuno. Il team suggerisce inoltre che una frazione di pianeti grande il doppio della Terra, riuscirà a mantenere la loro atmosfera primordiale ricca di idrogeno e quindi ricca di acqua.

I risultati ottenuti dal team presentano un’opportunità per i ricercatori di esopianeti, che si affideranno al James Webb Space Telescope per condurre osservazioni dettagliate dei sistemi di esopianeti. Webb, insieme ad altri telescopi di prossima generazione, caratterizzerà le atmosfere e le superfici degli esopianeti come mai prima d’ora. L’ipotesi presentata dal team deve essere ancora verificata con altri studi e test, ma nonostante ciò fornisce una spiegazione coerente per il mistero sovra riportato.

FONTE:

https://www.sciencealert.com/strange-mystery-of-missing-planets-across-space-may-be-solved

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